ACCADE OGGI, 26/10/1984: ha inizio la Leggenda! Michael Jeffrey Jordan esordisce in NBA e lancia i primi segnali per diventare The GOAT.

http://www.youtube.com/watch?v=P-6DjytuM88

 

Non partiamo subito dalla data indicata. Facciamo un passo indietro, cambiando location, giorno e mese. Correva il 19 giugno 1984, siamo al Madison Square Garden di New York City ed è in corso il draft, uno dei più enigmatici di sempre. Alla prima scelgono i Rockets, poi la palla passa ai Trail Blazers (via Indiana) e poi ai Bulls. Alla numero 1 viene selezionato  Hakeem Olajuwon, centro nigeriano con tecnica e classe mai viste fino ad allora; alla 2, come detto, tocca a Portland: le telecamere vanno in quella direzione, perché volente o nolente si sa che verrà scelto lui. E qui probabilmente cambia la storia del gioco. Sì perché coach Jack Ramsay, in collaborazione con Stu Inman, GM dei Trail Blazers, non puntò tutto su Michael ma scelse Sam Bowie, prodotto della rinomata Kentucky University. La motivazione di questa (assurda?) scelta fu che nel roster della Rip City vi erano già giocatori come Clyde Drexler e Jim Paxson e quindi serviva più un lungo alla Walton anziché un altro esterno. Si potrebbe scrivere un libro solo su questa giustificazione ma preferiamo occuparci di altro. Alla 3 i Bulls realizzano un sogno impensabile, ovvero sia scegliere e mettere sotto contratto Michael Jeffrey Jordan, prodotto della UNC-CH (University of North Carolina – Chapel Hill). Il roster dei Bull era formato da: Dave Corzine, Quintin Dailey, Chris Engler, Sidney Green, Dave Greenwood, Rod Higgins, Steve Johnson, Caldwell Jones, Charles Jones, Wes Matthews, Jawann Oldham, Ennis Whatley, Orlando Woolridge e naturalmente Michael Jordan. 129 giorni dopo quella notte al Felt Forum del MSG, MJ fa il suo esordio nella National Basketball Association. Ma ancor prima che la partita abbia inizio succede qualcosa di veramente molto strano: durante la presentazione della squadra (come si evince anche dal video) vengono elencati ed acclamati i giocatori del quintetto titolare, come da copione, ma arrivati al momento di nominare il rookie Jordan, il pubblico si alza in piedi e parte una standing ovation mai ascoltata per una matricola al primo anno. Che fossero già segnali di grandezza? A 30 anni esatti di distanza non possiamo far altro che annuire.  Gli avversari sono i Washington Bullets di coach Gene Shue (2 volte COY) che vanta uno starting five formato da Charles Davis, Frank Johnson, Darren Daye, Jeff Ruland e soprattutto Rick Mahorn, campione NBA nel 1989 con i Pistons prima di approdare alla Virtus Roma e vincere la Coppa Korac nel ‘91-‘92. I Chicago Bulls, invece, rispondono con Michael Jordan, Ennis Whatley, Jawann Oldham, Orlando Woolridge e Steve Johnson. Dopo la standing ovation per i Bulls e per MJ23, la partita ha inizio, così come ha inizio lo show di un gracile ragazzo che al tempo stesso è dotato di fasce muscolari che gli permettevano di essere scattante come pochi. La sua prima ufficiale azione in NBA è un classico coast-to-coast che non si conclude con un canestro ma con un assist per Steve Johnson che firma i primi 2 punti della stagione per i Bulls.

Una delle prime penetrazioni vincenti di MJ23! (csnchicago.com)
Una delle prime penetrazioni vincenti di MJ23! (csnchicago.com)

Il primo canestro, invece, arriva grazie ad suo marchio di fabbrica, ovvero sia il jumper dal gomito: transizione gestita da Whatley, passaggio a Jordan che in meno di tre secondi esegue spin move, arresto e rilascio della palla. Al resto ci pensa il più classico dei “kiss” alla tabella. Rotto il ghiaccio, Mike inizia a segnare da tutte le zone del campo, in ogni modo: col fade-away dall’angolo (altri diritti d’autore sul movimento), dalla lunetta, ancora col jumper dalla media e anche dall’arco dei 3 punti. Lo spettacolo al quale assistono i 13.913 tifosi Bulls presenti a quello che allora si chiamava Chicago Stadium (poi demolito e sostituito dall’attuale United Center) non si ferma: estenuante la difesa sugli esterni avversari, assist no-look e rimbalzi ad altezze inimmaginabili. A proposito di altezze, arriva quella sera un momento quasi di panico quando Jordan a gioco fermo, vista la netta infrazione di passi sanzionata dagli arbitri, cerca di schiacciare staccando da molto lontano. Il risultato fu uno scontro con Jeff Ruland e una conseguente spaventosa caduta sul parquet, battendo in maniera molto violenta la schiena sul campo da gioco. Rimase a terra per un minuto circa, prima di rialzarsi e tornare in campo come se nulla fosse successo. Sul quell’immaginario taccuino sul quale MJ si appuntava tutto ciò che gli dava fastidio, ci finì in qualche modo anche Ruland che, sebbene non avesse provocato in maniera diretta la caduta, qualche azione dopo si vide inchiodare una stoppata dal giovane Michael. Il secondo tempo vede un Jordan nel ruolo di facilitatore e spesso fornisce assist per i vari Woolridge e Dailey, che chiuderanno rispettivamente con 28 e 25 punti. Negli occhi di coach  Kevin Loughery rimane impressa tuttora la prima immagine di grandezza di Jordan: lotta a rimbalzo, Michael ruba, va in contropiede, salta il primo uomo con disinvoltura con un palleggio dietro la schiena, salta il secondo con una hesitation prima di concludere con il solito lay-up volante. La partita termina con la vittoria dei Bulls col punteggio di 109 – 93 con 16 punti, 6 rimbalzi e 7 assist per Jordan. 16 sono anche i tiri presi dal campo (5 i convertiti a punti), tanti per una matricola alla sua prima apparizione nella lega. I telecronisti definiscono ottimo l’impatto di un giovane rookie in quella sera. Non sanno che hanno assistito all’inizio della leggenda chiamata Michael Jeffrey Jordan, THE GOAT.

About The Author

Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone