Houston Legacy: dove arriveranno questi Rockets?

Houston, Texas. Dopo una stagione fallimentare come quella che ha visto tramontare l’esperienza con Kevin McHale alla guida della squadra e il duo magico Harden & Howard arrivare ai ferri corti prima del definitivo addio, era difficile immaginare un rilancio nell’immediato futuro dei Rockets, che ripartivano dopo il massacro subito dai Warriors al primo turno dei playoff, con l’unica certezza del proprio numero 13 in mezzo a tanti punti interrogativi da chiarire il prima possibile. Quello principale era ovviamente l’uomo da far sedere in panchina nei prossimi anni, con cui costruire un progetto che si potesse almeno avvicinare all’essere definito vincente. E se proprio bisognava scommettere su qualcuno, perché non provare a piazzare LA grande scommessa? Perché non affidare un roster ricostruito ad hoc per un allenatore come Mike D’Antoni al fine di dimostrare che il suo stile di gioco, spregiudicato ai limiti del possibile, può ancora adattarsi al basket moderno, cambiato totalmente negli ultimi anni?

Insomma, non ci si allontana troppo dalla realtà se si considerano i Rockets la più grande incognita estiva della lega, una squadra che poteva sia crollare fallendo anche l’obiettivo postseason, che riuscire nell’intento e affermarsi come vero colpo di scena di questa stagione. Dall’essere un’incognita estiva, però, sono passati ormai troppi mesi e le prime somme vanno tirate già adesso che si è superata la linea teorica di metà stagione. E i Rockets, creatura del nuovo Mike D’Antoni, sono lì a competere per le primissime posizioni nella sempre ostica Western Conference, dove solo gli extraterrestri Warriors e i cugini texani di San Antonio ancora possono permettersi di guardarli dall’alto in basso. Una squadra che non solo porta a casa i risultati, ma lo fa imponendo il proprio ritmo alla gara e trovandosi nel proprio habitat naturale anche nelle sconfitte, arrivate comunque sempre dopo aver preparato il terreno a loro congeniale. Ma come si è arrivati ad avere una Houston così seriamente competitiva se nata dalle ceneri di un’esperienza terminata pochi mesi fa?

Impossibile non parlare sin da subito di James Harden, corpo e anima di questa squadra, diventato tra i migliori esponenti di questa disciplina e capace di evolvere ulteriormente il suo gioco per diventare il leader perfetto per il suo nuovo team. Dopo aver sfiorato il titolo di MVP due stagioni fa, infatti, il Barba ha abbracciato totalmente le nuove linee tracciate da D’Antoni riuscendo a trasformarsi in un vero e proprio playmaker, quasi mai sceso sotto la doppia cifra di assist a partita. Le cifre da quasi tripla doppia di media portano tutte alla sua probabile incoronazione da MVP, ma non sono solo i freddi numeri a fare di Harden il miglior cestista di questa stagione. È il diventare micidiale pur giocando in primis per la squadra e poi per se stesso che oltre a regalargli cifre da capogiro fanno sì che queste siano funzionali al cammino dei Rockets, regalando alla squadra la possibilità di avere obiettivi impensabili fino a qualche mese fa.

Ma fortunatamente questi Rockets non finiscono con il Barba e anzi propongono una serie di rivelazioni che storicamente è raro trovare tutte nello stesso roster. Con l’addio dei vari Lawson, Smith, Jones e soprattutto Howard, a Houston bisognava cercare uomini adatti al gioco pensato da coach D’Antoni e mai scelta fu più azzeccata dell’andare a pescare dritti in casa dei Pelicans. L’accoppiata formata da Anderson e Gordon ha sconvolto gli equilibri della squadra, facendola diventare una vera e propria macchina da guerra capace di punire dall’arco in maniera micidiale oltre a regalare spazio per le incursioni in area, tanto che viene il dubbio (infortuni a parte) sul se fosse così pessimo come veniva descritto il supporting cast di New Orleans.

Oltre ai nuovi acquisti, comunque, le più grandi sorprese sono arrivate da uomini come Capela e Harrell, che sono stati rivitalizzati dalla cura del nuovo coach e dopo mesi di dominio del primo, interrotto bruscamente da un pesante infortunio, è toccato al secondo trasformare l’idea che gli appassionati avevano del centro in qualcosa di diverso. Stiamo parlando di un ragazzo che nonostante i suoi 109 kg arriva “solo” a 2,03m, venendo scavalcato da ben 8 compagni di squadra in altezza, da sempre considerato un’ala piccola (capace di adattarsi ad ala grande) e nonostante il suo modo di giocare sia stato completamente cambiato, riesce comunque a dominare in lungo e in largo. È evidente come il nuovo sistema di gioco dei Rockets faccia in modo di valorizzare al massimo questo tipo di giocatori e basti pensare che Harrell ha già aumentato i suoi punti di media di quasi il triplo, mentre prima dell’infortunio Capela viaggiava con 11,2 punti e 7,7 rimbalzi rispetto ai 7 punti e ai 6,4 rimbalzi della stagione passata.

Difficile ancora adesso dire quanto dureranno al top questi Rockets o se riusciranno ad evolvere ulteriormente per raggiungere il livello delle dirette avversarie, ma la certezza adesso come lo scorso Ottobre è che con questa squadra ci sarà sempre spettacolo, dalla gara di stanotte contro i Warriors fino ai prossimi playoff.

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Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone