I Promise

Era il 23 marzo 2002 quando la St. Vincent St. Mary HS di LeBron James cedeva il passo al liceo di Roger Bacon nella finale del titolo statale. James cominciò, seppur ancora giovanissimo, a far parlare di sé per una peculiarità dei suoi primi anni anche in NBA: nei momenti decisivi della gara la palla non era nelle sue mani. In quella partita, infatti, a pochi secondi dalla fine, James scaricò la palla a tale Chad Mraz (poi scomparso dalla pallacanestro dopo l’esperienza dell’high school) non prendendosi l’ultima responsabilità. Dichiarò il giorno precedente: “Non garantisco che vinceremo domani ma garantisco che non lascerò che la mia squadra perda”. Parole e musica che se venissero trasportate ai giorni d’oggi non metteremmo mai in bocca al 23 dei Cleveland Cavaliers. LeBron si è trasformato anche sotto questo punto di vista. Sebbene fosse piuttosto maturo già a 16 anni, il suo processo di ulteriore maturità può essere analizzato anche sotto questo profilo: nel giro di 10 anni siamo passati dal “non garantisco la vittoria” a quell’ormai famoso “I Promise” (io prometto) che tanto fa sperare gli abitanti di quella che James ha trasformato da “mistake by the lake” a “Beliveland“.

La vera e propria promessa di LeBron non riguarda una vittoria, un obiettivo sportivo o qualcosa di simile ma “I promise to never forget where I came from” ovvero sia non si dimenticherà mai da dove proviene, dov’è cresciuto, cosa gli ha dato la città di Cleveland. La promessa è sempre la stessa e questo è pronto a garantirvelo. Non è cambiato neanche l’obiettivo sportivo in verità perchè la sua città, the inner city, non vede un titolo da tempo immemore, non riuscendosi a scrollarsi di dosso un’etichetta che la vede come la città più sfortunata e perdente nella storia dello sport. La missione, allora, è chiara: riportare un titolo sportivo in Ohio, a Cleveland, nella sua Akron, nonostante l’abbia già portato Curry lo scorso anno. Ma Curry non è l’Ohio, Curry non ha mai espresso amore eterno per le sue radici, per le sue origini, per la terra in cui è nato. James, invece, è tutto ciò che sognano tutti i bimbi di Akron, l’eroe da avere come riferimento nella vita, l’uomo a cui ispirarsi. In questi playoff ha dato molto spesso l’impressione di essere, per dirla seguendo la storica pellicola di John Landis interpretata da John Belushi e Dan Aykroyd, un vero e proprio “uomo in missione” per conto di una Land (con tanto di hashtag ufficiale #TheLand) che sembra aspettare questo da sempre: il più grande che riesce a vincere contro tutto e tutti a casa sua. Lo ha dichiarato dal primo giorno in cui ha rimesso piede in Ohio, da quell’11 luglio del 2014 in cui annunciò attraverso Sport Illustrated il ritorno a casa: voglio vincere per questa terra, per questa gente. Per la terza volta vrà questa possibilità con la maglia dei Cavaliers, con tanto di squadra al completo e con tanto di equilibrio nei pronostici, quelli che volente o nolente non aveva lo scorso anno. Quella promessa, oggi, vale più di ogni altra cosa, più di ogni parola detta in conferenza stampa, più di ogni vittoria in regular season, pià di ogni cambio di allenatore, più di ogni acciacco fisico, più di ogni avversario temibile che si presenti davanti. Promettere non basta. LeBron lo sa, lo riconosce e proverà a fare di tutto per mantenere quella garanzia data 2 anni fa in una memorabile serata di presentazione. Lo sa perchè il suo mantra parla chiaro: “In Northeast Ohio, nothing is given. Everything is earned. You work for what you have“. Ha lavorato per avere questa chance ma non basta arrivare qui e vedere gli altri sollevare il trofeo, non basta trascinare tutti qui e non portare a casa nulla. Tutto quello per cui si gioca va guadagnato, va sudato. Quella struggente lettera pubblicata su SI in quell’afosa giornata di luglio si conclude con il riassunto della carriera, forse della vita di LeBron Raymone James: “I’m ready to accept the challenge”, sono pronto ad accettare la sfida ed è ora il momento in cui si decide come andrà a finire questa interminabile sfida. LeBron promette, LeBron è in missione e ha, come sempre, gli occhi sul trofeo, quelli che oltreoceano definiscono eyez on the prize. Siate pronti a tutto, il Re è pronto ed è in missione.

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Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone