
ROTY Rush #4 - La guida al Rookie dell'anno.
Bentornati, dopo quasi un mese, nella rubrica che segue lo sviluppo dei Rookie durante il loro primo anno in Nba.
ANDREW WIGGINS – Da quando è iniziato il nuovo anno, Wiggins ha davvero inserito il turbo per arrivare al titolo nel modo più convincente possibile, che lo stacchi dall’idea che lo raggiungerà solo per l’infortunio di Parker. Solo una volta sotto i 15, spesso e volentieri sopra i 20 e i 31 rifilati a Denver sono un ottimo biglietto da visita, quello su cui c’è scritto “Rookie dell’anno”.
NIKOLA MIROTIC – E collegandoci a Wiggins, non si può non far notare il crollo del suo principale rivale. Lo spagnolo di origini montenegrine, come tutti i Bulls, è in parabola fortemente discendente, come si denota sia dai punti che dalle percentuali ai limiti dell’indecenza (31.3% dal campo). Essere comunque un punto fermo della franchigia di Chicago non può che aiutarlo, ma se non riprende il giusto ritmo difficilmente potrà insidiare ancora le prime posizioni.

ELFRID PAYTON – Se non puoi batterli alleati a loro, recitava il proverbio. E’ così che Payton, inizialmente oscurato da un Oladipo fenomenale, ha trovato il posto fisso in quintetto semplicemente diventando l’altra guarda. Nello scorso numero si era ipotizzato che questa fosse la mossa giusta per dare una spinta in più ai Magic e far migliorare esponenzialmete il ragazzo, ed evidentemente i numeri a conferma non mentono: 15 contro Houston, 16 contro Memphis e 19 contro Okc, il tutto condito da almeno 30′ a partita.
NERLENS NOEL – Lanciamo una bomba? Giocasse in una squadra da playoff sarebbe Rookie of the Year. Primo tra gli esordienti per blocchi, stoppate e palle rubate lo rendono una macchina difensiva che può davvero diventare uno dei giocatori più dominanti della lega sotto canestro. Sfortunatamente gioca nei 76ers e perdere 34 partite su 42 non può che penalizzare le sue prestazioni. Riuscisse a ripetere più spesso partite di gioco totale come quella contro i Pelicans (17 punti, 5 stoppate, 11 rimbalzi e 2 palle rubate) insidierebbe seriamente i piani alti.
ZACH LAVINE – La notizia degli ultimi giorni è che, come il compagno Wiggins, rappresenterà Minnesota nello Slam Dunk Contest e con tutta probabilità anche nella partita USA vs Resto del Mondo. Le ultime partite però non hanno convinto e il minutaggio comincia a scarseggiare, cosa che se succede in quel di Minneapolis può cominciare a diventare preoccupante. La fiducia dell’ambiente però resta e il ragazzo avrà ancora alcune occasioni per dimostrarsi all’altezza di un quintetto Nba.

AARON GORDON – Rientra in corsa uno dei favoriti ai nastri di partenza, nonchè quarta scelta assoluta all’ultimo draft. Ad inizio stagione ci aveva incantato con giocate per i fotografi, trovando però poca concretezza: trovarla significherebbe confermarsi come l’eccezionale giocatore che si pensava in prospettiva. Solo due presenze dal rientro, con 22′ e 12 punti segnati contro OKC e Detroit, ora l’obiettivo è aumentare sempre di più i minuti e puntare quel posto in quintetto che prima del brutto infortunio poteva diventare garantito.
MARCUS SMART – Lo spazio concesso alla scelta su cui i Celtics hanno puntato al draft è decisamente aumentato dopo la partenza di Rondo, anche se questo non è equivalso al posto in quintetto, dove gli viene quasi sempre preferito Turner. Le prestazioni altalenanti che offre sono perfettamente rappresentate dalle ultime due partite giocate: 14 punti contro i Clippers, 0 contro Portland. La stagione saldamente in bassa classifica di Boston è ormai segnata, ora è meglio puntare all’anno prossimo, dove con l’innesto di un lungo e un po’ più di fiducia, Smart può dimostrarsi un playmaker di gran livello.
TARIK BLACK – Dopo il rilascio da parte di Houston per fare spazio all’arrivo di Smith (ancora una volta, perchè lui e non Dorsey?), la sua stagione sembrava finita soprattutto per la difficoltà di trovare una franchigia che a metà della regular season credesse nel giovane centro, nonostante le importanti partite durante l’assenza di Howard. Invece in lui hanno creduto i Lakers e ha avuto la possibilità di dimostrare che del materiale su cui lavorare c’è. Il minutaggio è ampio e le mancate ambizioni ad L.A. creano un ambiente senza pressioni per un giocatore che deve crescere con costanza.
