Boom Boomers: 10 motivi per amare gli Aussie Men

Quando si pensa al Nuovissimo Continente si fa immediatamente riferimento a quella straordinaria nazione che è l’Australia. Come capita spesso con un Paese così attraente dal punto di vista turistico (e non), i luoghi comuni regnano incontrastati: le onde altissime per permettere ai surfisti di divertirsi, il sole e le spiagge immense, i koala e i canguri. Da sempre il simbolo dell’Australia è il marsupiale, concentrato per lo più nella zona nota come Kangaroo Island, a sudovest di Adelaide, all’ingresso del Golfo di San Vincenzo, a pochi chilometri da Cape Jervis. Molti studiosi concordano sull’origine del loro insediamento in questa fantastica terra, risalente fino a 15 milioni di anni fa. Quindi, indubbiamente il simbolo di questo spicchio di mondo. Nell’inglese australiano (lingua madre del continente) per individuare la fase culminante del ciclo vitale di un canguro, dunque la fase che segna il passaggio dall’età adolescenziale all’età adulta, si utilizzano vari termini, tra cui boomer. Con questo termine si è soliti indicare un canguro in età adulta e per questo motivo maturo. Il significato, esteso ad una cultura emergente, è stato spesso applicato alla squadra australiana di pallacanestro maschile, quasi come fosse un secondo nome, quello più “australiano” possibile. La strada per Rio 2016 non è stata poi così complessa, dovendo gli australiani battere un solo avversario. Insomma, la loro partecipazione ai Giochi Olimpici non è mai stata messa a serio rischio. Quest’anno arriva la 14esima partecipazione ad un’Olimpiade ma di medaglie neanche l’ombra. La supremazia delle europee, i diversi Team USA e una mancata propensione alla palla a spicchi non hanno aiutato le sorti dei Boomers, nonostante un accettabilissimo 11esimo posto nel FIBA World Rankings (dietro a USA, Spagna, Lituania, Argentina, Francia, Serbia, Russia, Turchia, Brasile e Grecia). Ben altra storia, invece, per le colleghe in rosa, seconde nel Ranking precedute solo dalle statunitensi. Se aveste chiesto a qualsiasi australiano 20 anni fa qualsiasi cosa sulla pallacanestro, probabilmente avreste ottenuto come miglior risposta un glaciale silenzio. Il duro lavoro, gli investimenti sui giovani e una sempre crescente propensione verso il basketball stanno facendo crescere in maniera significativa il movimento. Il roster che ora abbiamo modo di vedere sul parquet delle Carioca Arena è catalogabile a tutti gli effetti come la Generacio Dorada del Nuovissimo Continente, perchè se solo ci fermassimo a pensare dov’era il basket aborigeno non più di una ventina ci potremmo rendere facilmente conto del passo in avanti. Le vittorie strepitose contro la Francia prima (87-66) e contro la Serbia poi (95-80) catapultano in un paradiso ancora terrestre i Boomers, in grado di mettere in difficoltà squadre con esperienza e talento. D’altra parte va anche precisato che l’intero quintetto base di coach Lemanis proviene dalla NBA (Mills, Dellavedova, Baynes, Bogut e Ingles) e, almeno difensivamente, la differenza con le seconde linee si sente e come. Tener testa a chi 4 anni fa sanciva il proprio dominio in Europa e a chi vanta campioni del calibro di Teodosic, Bogdanovic, Nedovic e Raduljica non è opera per molti, specie se la tua propensione sportiva viene più catalogata da “palla ovale” anziché da “palla a spicchi”. Non ci soffermeremo sui numeri di queste 3 partite (2 vinte e una persa eroicamente contro i vincitori di questo torneo olimpico), non ci soffermeremo sulla costruzione di un roster che sulla carta è almeno il quinto tra i due gironi ma resteremo su quelli che riteniamo 10 validi motivi per adorare, ammirare ed amare quelli che in inglese australiano (o se preferite slang aborigeno) chiamano Aussie:

I "tuffi" dei Boomers. Ph: FIBA.com
I “tuffi” dei Boomers.
Ph: FIBA.com

1 – Il sudore sul parquet: l’espressione è spesso usata per indicare la grinta e la caparbietà con la quale giocano gli attori in campo. Stavolta la adoperiamo in senso letterale: la quantità di sudore che i Boomers lasciano sul parquet è inquantificabile. Tutti i salvataggi, i “tuffi” (visto che siamo alle Olimpiadi) per cercare di tener vivo un possesso dimostra quanta voglia ci sia in ogni singolo giocatore, dal più giovane al più esperto, da chi è alla prima esperienza con la maglia dell’Australia a chi ormai, può essere considerato un vero e proprio veterano. Grinta, voglia e spirito di sacrificio: anche questi sono gli ingredienti della formula aborigena.

2 – La Leggerezza dell’interpretazione: per caratteristiche somatiche, gli australiani non sono considerati una popolazione caldissima, anzi. La loro imperscrutabilità del volto non permette di capire il confine tra concentrazione e leggerezza, quasi come se i due concetti si fondessero. Fatto sta che il loro approccio leggero, quasi consapevole della forza e dei mezzi a disposizione, gli permette di affrontare le gare contro avversari sulla carta più forti in maniera migliore rispetto agli altri.

3 – Delly e Patty: potrebbe sembrare il nome di una fiction americana ed invece no. Sono i soprannomi dei due condottieri, dei due Boomers per eccellenza, dei due simboli di un movimento intero. Il primo, appena passato alla corte di Jason Kidd, sta dimostrando al mondo intero che non è affatto un giocatore di secondo ordine, giocando con un’intensità assurda un livello di pallacanestro incredibile. Per i semplici parziali: 12.7 punti e 11.3 assist (primo nel torneo) di media. Il secondo, assoluto idolo della sponda nero-argento texana, è il vero faro offensivo della squadra con 25.7 punti di media (miglior realizzatore del torneo). Insomma, una coppia che si lascia guardare: miglior passatore e miglior scoreman di Rio 2016 (dopo le prime 3 gare). Due facce della stessa splendida medaglia.

Il gancio eterno di DA13. Ph: FIBA.com
Il gancio eterno di DA13.
Ph: FIBA.com

4 – La longevità di David Andersen: un girovago, quasi un nomade cestisticamente parlando ma con un palmares da invidiare. A 36 anni vanta 3 Euroleague (2001, 2006 e 2008), 3 campionati italiani, un campionato spagnolo, 3 campionati russi e un campionato francese, senza considerare la sua esperienza comunque positiva in NBA. Andersen è un giocatore senza tempo, quasi come se il tempo non scalfisca il fisico ma soprattutto la tecnica di uno dei migliori centri australiani. Lemanis lo utilizza come cambio naturale di Bogut ma nei finali di gara è il centro dei  Warriors a restare in panchina per far spazio all’esperienza e al gancio immortale di David. Quasi 10 punti e 6 rimbalzi a 36 anni, contro gente fresca dal punto di vista atletico, non è uno scherzo.

5 – Per aver fatto tremare Team USA: l’ultimo svantaggio di Team USA dopo i primi due quarti risale alle Olimpiadi disastrose del 2004, quelle di Atene. Stanotte, contro i Boomers, gli statunitensi erano sotto di 5 lunghezze e fino a 2 minuti dalla fine il punteggio diceva +4 USA. Se questo non corrisponde a far tremare “chi non può perdere” poco ci manca. Hanno giocato al 120% delle loro possibilità, inchinandosi solo al più forte attaccante del torneo (Anthony) e al più imprevedibile giocatore del torneo (Irving). Per il resto, la storia da raccontare ai nipotini c’è, e come se c’è!

6 – Crederci, SEMPRE: “Siamo meno forti di chi affrontiamo? Non importa. Noi giochiamo” deve aver detto ai suoi prima di ogni partita coach Lemanis. Eppure 2 vittorie su 3 gare, affrontando i campioni in carica, non è uno score propriamente da “sfigati” e “scarsi”. Il segreto è un po’ quello di Pulcinella ma allo stesso tempo un traguardo che in pochi possono definire già raggiunto: crederci sempre, al di là dei valori in campo. Il verdetto del campo è sempre quello più giusto e, ad ora, gli australiani meritano la finale più delle altre corazzate europee e sudamericane.

7 – Per riconoscere i propri limiti e fare di tutto per superarli: buttare il cuore oltre l’ostacolo è il concetto che si usa spesso quando non si ha più nulla da perdere, quasi in occasioni estreme. I Boomers, invece, fanno di questo credo una vera e propria filosofia di gioco, perchè non conta il punteggio, non conta chi hai di fronte, conta giocare seguendo il game plan, seguendo ciò che dice il proprio allenatore, fidandosi di ogni compagno di squadra. I limiti, evidenti a tratti, non condizionano la volontà, semmai il contrario. Si fa di tutto non per nasconderli ma per superarli, perchè solo vincendo le proprie paure e le proprie difficoltà si vincono partite di basket a questo livello.

La "devotion" contagia anche i tifosi! Ph: FIBA.com
La “devotion” contagia anche i tifosi!
Ph: FIBA.com

8 – Devotion: l’evoluzione dello sport ha portato l’ormai storico slogan dell’Euroleague Basketball anche nella terra dei canguri. La Devotion che gli australiani dimostrano avere va al di là dell’età anagrafica e conatagia tutti quelli che mettono piede in campo, da Baynes a Bogut, da Ingles a Motum, da Dellavedova a Bairstow, da Mills a Lish. Se il parquet è bagnato di sudore, se le maglie a fine gara sono inzuppate di sudore, il merito è della Devotion che hanno saputo sviluppare i Boomers.

9 – La pallacanestro fatta vedere: al di là delle analisi meramente psicologiche/non-tattiche fatte finora, la pallacanestro giocata dagli australiani è di alto livello, sia a livello offensivo, sia a livello difensivo. Certo, non abbiamo lo stesso ventaglio di scelte che hanno Argentina, USA e Francia, non abbiamo la profondità della Spagna e della Serbia e forse nemmeno il talento della Croazia e della Lituania ma la strauttura di gioco che ha saputo sviluppare coach Lemanis dal 2012 ad oggi merita i giusti riconoscimenti. Una squadra con identità, con una forte vocazione difensiva e che attacca aggrappandosi alle abilità dei suoi NBA, sfruttando il tiro da 3 di Ingles e Mills, la velocità di Delly e le letture di Bogut. Per la difesa, affidarsi al roccioso Baynes è già tanta roba.

10 – LOVE FOR THE GAME: non servono altre spiegazioni. Amano il gioco, basta questo.

About The Author

Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone