'E' un paese per vecchi': San Antonio e il sistema vincente

“Ancora tu, ma non dovevamo vederci più?” Citazione tanto abusata quanto confacente quello che è IL sistema NBA, particolarmente calzante, poi, per alcuni dei ragazzi in nero-argento.

“E come stai? Domanda inutile”. Così prosegue Battisti, e noi con lui. Domanda inutile, questi Spurs stanno bene se non benissimo da almeno 18 anni. Non che prima se la cavassero male, intendiamoci, il solo “Ammiraglio” garantiva una certa continuità di rendimento ai texani (sebbene non da contender) anche tempo addietro. Ma con l’arrivo del taciturno quasi-nuotatore da Saint-Croix, beh, le cose sono andate ancor meglio.

Quanto meglio? Abbastanza per esser riconosciuta come franchigia più vincente dello sport americano nel primo decennio del ventunesimo secolo. Abbastanza da mettere in bacheca 5 modesti Larry O’Brien Trophy e da avere una percentuale di vittorie maggiore del 70%. Ok, il passato è passato; oggi come se la cavano? Domanda inutile.

Se non sono martoriati dagli infortuni, gli Spurs non giocano a pallacanestro, gli Spurs spiegano pallacanestro. 57, 28 (x3), 55, 45, 29, … Non sono numeri a caso, come nulla è a caso in casa nero-argento. La ruota di San Antonio estrae, via New York/Brooklyn a seconda delle annate, una impressionante serie di numeri vincenti. Bravura? Tanta. Fortuna? Anche.

A questa combinazione di cifre corrispondono, tra le altre cose: 10 anelli, 8 All Star Game ed una infinità di riconoscimenti personali (anche in NBA) e trofei di squadra in area FIBA o con le nazionali. Ginobili, Parker, Scola, G. Dragic, Splitter. Sono solo alcuni dei colpi made in Spurs. In generale il front office texano ha pochi rivali per competenza e lungimiranza. Tutto ciò è testimoniato dall’abilità nel muoversi sul mercato dei free agents, vedi Aldrigde e West, tanto quanto nel saper chiudere delle trade che, ad anni di distanza, si stanno rivelando degli assoluti capolavori messi in atto dagli uomini guidati dallo strano duo Popovich-Buford.

Ne è un esempio la magistrale (facile a dirsi, 4 anni dopo) mossa effettuata durante la stessa draft-night 2011, dove SAS mandò in Indiana quello che al tempo era uno dei giocatori preferiti di Pop e della Trinità, George Hill, in cambio di un rookie grezzo e con più treccine che parole, proveniente da un college di secondo piano. Quel ragazzo dal nome strano e dalle mani enormi divenne, solo 3 anni dopo, MVP delle finals. Ma fu soltanto l’inizio. L’anno successivo arrivò il premio come Defensive Player dell’anno e l’iscrizione obbligatoria alla lista dei candidati MVP da qui ai prossimi 10 anni.

Il sistema. Precisione, dedizione, sfrontatezza, arroganza e classe. Un tratto distintivo troppo unico ed autentico per esser scambiato con quello altrui, tanto che gli ex-Spurs, gli adepti di Pop e RCB, sono fin troppo facilmente riconoscibili per le sole modalità del loro operato all’interno della lega. Ci son sempre due modi di far le cose, e per qualche ragione, oscura ma neanche troppo, chi è  passato da qui sceglie molto spesso quella giusta. Far quello che hanno fatto a San Antonio, in relazione al mercato dove operano, sarebbe come se a Frosinone ci fossero l’organizzazione e la squadra di pallone migliore al mondo. Un’utopia nel sistema sportivo e sociale continentale, meno dall’altra parte dell’oceano, ma pur sempre un meraviglioso elogio all’organizzazione ed alla programmazione.

“O sistemone aumenta di N volte la probabilità di vincere” recitava lo spot di una nota agenzia di scommesse. Per motivi diversi dai loro, anche noi continueremmo a scommettere su questo gruppo di campioni. Sebbene i ricordi siano sempre più agrodolci. Assistere all’ultimo atto della sceneggiatura del Mamba fa pensare: e se fosse anche l’ultima stagione dei Tre (o 4, con l’amato Pop) insieme? Quasi inconsapevolmente la gioia del ricordo dell’ultima finale vinta, The Beautiful Game, il Gioco sopra i singoli, quel meraviglioso flusso “VanGoghianamente” composto di brevi, violenti tratti di talento e genio individuale, si mescola all’amaro presente. Il tempo scorre per tutti. Quanto sarebbe bello poter portare indietro le lancette ogni tanto.

Ma non serve nemmeno provare angoscia quando, guardando alla classifica attuale, si può notare come ancora una volta i nero-argento stiano lasciando tutti di stucco. Sì, sono ancora loro. Sì, sono ancora lì. “No country for old men”, dicono. Sia o meno, l’NBA, un posto anche per vecchi, TimmyD & Co. hanno tutta l’aria di esser pronti a dar battaglia a chiunque. Sia o meno, questo, l’ultimo giro di giostra… che sia “One for the ages”, a memoria dei posteri.

About The Author

Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone