ICYMI - No fear, young fella!

Niente paura, ragazzo!” devono aver urlato i coach per spronare a dare il massimo a chi, al primo viaggio tra i pro, è chiamato a giocare un altro tipo di pallacanestro, forse il più difficile da interpretare. La Playoffs Basketball è quasi uno sport diverso, indipendente dal resto della regular season. Chi per la prima volta ha solcato un parquet NBA dopo anni di College Basketball riconosce immediatamente la differenza e non tutti reggono il cambio di passo, la fisicità, la velocità del gioco. Chi ci riesce, però, merita di avere chance importanti in post season, proprio com’è accaduto in questo scoppiettante inizio di Playoff. La classe 2015 delle matricole è straordinaria sotto diversi punti di vista: dall’incredibile maturità e intelligenza di Towns – prossimo al ROTY – alla chirurgica mira di Booker, passando per la classe di Okafor, le infinite armi di Porzingis e la visione di gioco di D’Angelo Russell. Anche chi non è tra questi nomi, però, ha saputo contribuire in maniera più che sostanziosa alla realizzazione di un obiettivo importante. Parliamo di Stanley Johnson (scelta n°8 dei  Pistons), Frank Kaminsky (il Tank n°9 degli Hornets), Justise Winslow (scelto dagli Heat di Riley alla 10), Miles Turner (pupillo di Bird, portato in Indiana con la n°11) fino ad arrivare a Justin Anderson (colpo di Cuban alla 21esima). La caratteristica più sorprendete di questa rookie class? Dopo anni di cocenti delusioni, delle matricole con attributi e coraggio da vendere, accomunati da una componente difensiva di prim’ordine.

STANLEY JOHNSON e l’impatto con l’androide – I Pistons hanno investito su SJ, classe 1996, talento che dopo una sola stagione in NCAA con gli Arizona Wildcats – chiusa con quasi 14 punti di media – gioca la Summer League di Orlando con una media di 16.2 punti, 6.8 rimbalzi e un ottimo 57.7% dal campo. Per lui garantisce coach Sean Miller, un vero e proprio “maniaco” della difesa. Deve aver tirato su bene i ragazzi dello scorso anno perchè coach Van Gundy non ha nessun problema a smistare una matricola su LeBron Raymone James. Il tabellino di LBJ recita 22 punti, 11 assist e 6 rimbalzi, tirando col 53% dal campo e il 65% in area e ad occhio e croce diremmo che non è stato fatto un eccellente lavoro difensivo. Lo hanno avuto in consegna Markieff Morris e Thobias Harris il più delle volte ma quando Morris scala da 4, Van Gundy affida al giovane SJ il compito di fermare una macchina da distruzione. Il compito è arduo ma i primi contatti dimostrano quanto il lavoro di coach Miller prima e dello staff dei Pistons poi conti in determinate situazioni. Mai timoroso e sempre pronto ad accettare ogni tipo di contatto, anche ad offrirne di duri. Non sono ammessi passi indietro, perchè indietreggiare ti porta a soccombere e contro James equivale a sanguinare davanti ad uno squalo. LeBron avrà segnato ugualmente, avrà preso lo stesso i tiri che voleva ma l’atteggiamento e il coraggio con i quali Johnson ha approcciato ad un matchup sulla carta complesso è da 10 e lode. Già che ci siete, oltre alla difesa, metteteci anche 9 punti con 3/3 da 3 e 8 rimbalzi all’esordio. E’ il caso di dirlo: “Well done, young fella!

https://www.youtube.com/watch?v=cxEAWb5FtWc

 

Justin Anderson e la scommessa di Mark Cuban – Dopo non essere scesi in campo, i Mavs avevano bisogno di una reazione forte. Anzichè le 12 e più controfigure mandate sul parquet dei Thunder in gara 1, Carlisle necessitava di una prova da leoni. Un leone a roster c’è: si chiama Justin Anderson, classe 1993, selezionato alla 21 e proveniente da Virginia, dove tendenzialmente piace più la palla ovale che quella a spicchi. Justin Anderson è un leone per due motivi: il primo è il suo soprannome, ovvero sia Simba; il secondo è la sua difesa in single coverage, cioè faccia-a-faccia in isolamento. Se SJ ha rotto il ghiaccio con LeBron, altrettanto complesso è stato l’esordio di Anderson a cui è stato affidato Kevin Durant (28.2 di media in RS). La notte storta di KD (7/33 dal campo) è frutto di un approccio sbagliato alla gara, quasi a voler giocare con quel piglio presuntuoso che raramente abbiamo visto fare al ragazzo da Washington. Eppure il nervosismo non deve esser solo derivato dal fatto di non riuscire a far canestro. C’è altro, molto altro. Quell’altro è un supereroe come Matthews (nickname: Iron Man) e un leone come Simba o Justin Anderson se preferite. La difesa del rookie dei Mavs è stata straordinaria per essere la sua seconda partita in carriera in una serie di Playoff NBA. Anche coach Carlisle ha ripagato il grande lavoro difensivo dandogli fiducia per ben 14 minuti. Senza Parsons e con Williams a mezzo servizio, la panchina deve essere decisiva e quella dei Mavs in panchina ha un vero leone. I numeri non sono roboanti ma basta guarda l’assist dietro la schiena sulla linea di fondo per Mejri e una putback dunk direttamente su tiro libero alla MJ. Altra scommessa vinta da Cuban.

https://www.youtube.com/watch?v=bl_94Vx1oBU

 

La “Giustizia” difensiva dei Miami Heat – A South Beach si gioca molto col nome di Winslow, steal of the draft 2015 secondo gli addetti ai lavori. Quello di Winslow è Justise, molto vicino a justice, ovvero sia giustizia. Già, giustizia, proprio quella che cercano gli Heat dopo l’ennesima sfortunata regular season sotto l’ottica infortuni. Pat ha trovato chi può far giustizia e coach Spo non fa altro che dargli fiducia e spazio di manovra, spazio che l’ex Blue Devils utilizza per allenarsi, per migliorarsi e, perchè no, rubare movimenti e suggerimenti dai grandi veterani che ha in squadra. L’euro step che esegue in G1 contro gli Hornets, con tanto di dedica al maestro Wade, è uno dei momenti più belli per i tifosi Heat ma ciò che fa nella sua di metà campo è quello che più interessa e diverte Spoelstra. Sarà anche Hassan Whiteside all’ombra dei cristalli a spegnere la luce a chiunque metta piede nel pitturato ma come difesa sul perimetro, Winslow si è già dimostrato uno dei più pronti, andando proprio in quella direzione difensiva tanto esaltata dalle matricole di quest’anno. Ha dovuto vedersela con un cliente complesso come Batum dando buoni risultati e anche contro Marvin Williams, alternando il suo gioco da esterno ad ala forte (con lo small ball). Anche il suo compagno di “classe” Josh Richardson, primo rimpiazzo di Goran Dragic, ha oscurato una stella come Kemba Walker, entrandogli sottopelle e costringendolo ad una serata quantomeno opaca. La 10 e la 40, due scelte che fanno giustizia al lavoro di Riley.

https://www.youtube.com/watch?v=T5Sq7VFbxZE

 

 

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Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone