Kobe, Curry e il culto del tiro: intervista ad Adam Filippi

Alla voce “Adam Filippi” viene spesso abbinato “Charlotte Hornets Director of Global Scouting” che, in un certo qual senso, è la sua veste ufficiale. Ma guai a soffermarsi solo sulla prima voce. Adam Filippi è molto di più. Definirlo solo ed esclusivamente “scout” è più che limitativo, perché Adam ha dedicato tutta la vita per la pallacanestro, prima come giocatore, poi come scout e infine come Shooting Coach. Scout e Shooting Coach quindi? Nemmeno, manca ancora qualche pezzo per arrivare alla completa definizione del nativo di un sobborgo di Detroit, Michigan da dove provengono Chris Webber, Shane Battier, BJ Armstrong e altri… È autore di “Shoot like the Pros: the Road to a Successful Shooting Technique” (2011), libro di riferimento per chi vuol capire cosa c’è dietro un semplice gesto di tiro e cosa fare per migliorare la propria meccanica. Scouting, coaching e ossessione per il tiro sono 3 punti cardini nella vita di  Adam, a cui non piace minimamente essere etichettato solo come uno scout. Ci confessa che “è seccante essere conosciuto come uno scout. Vorrei dare agli occhi della gente un’immagine di me più come coach e uomo di pallacanestro in generale, che come semplice scout”. La strada, per sua stessa ammissione, non è facile ma spinto anche dalle tantissime recensioni positive del suo primo libro (Phil Jackson lo ha definito “The best book on shooting that I have ever read”) sta tramutando tutte le sue conoscenze in cultura da divulgare attraverso tanti clinic, presentazioni, e appunto libri. E allora ecco la sua seconda creatura, dal titolo “Mastering the Art of Free Throw Shooting”, il primo libro ad affrontare in modo unico e approfondito un aspetto fondamentale del gioco come quello del tiro libero: il tiro preferito di Adam.

Mastering the Art of Free Throw Shooting, è un libro molto più personale e profondo di Shoot like the Pros” ci racconta Adam, “perché c’è più esperienza personale mia e anche un pó di ‘Zen’ dal punto di vista mentale ed emotivo. Vedrete molto più dettaglio negli aspetti meccanici della tecnica di tiro, e verrà approfondito come approcciare ogni tiro con la mentalità giusta. Adoro il tiro libero perché é l’unica parte del gioco dove siamo tutti uguali e nessuno ha un vantaggio: alto o basso, uomo o donna, professionista o dilettante, chiunque può diventare un grande tiratore dalla lunetta. Il tiro libero rappresenta un gioco all’interno del gioco complessivo della pallacanestro. È il tiro apparentemente più congeniale ma in realtà più complicato e unico di tutta la pallacanestro. Quando sento dire che si tratta di un tiro facile, mi sento di precisare che “è facile diventare mediocri in lunetta, ma difficilissimo diventare tiratori da 90%”. Il libro è indirizzato sia a giocatori sia ad allenatori, e copre: l’evoluzione del tiro libero nella storia della pallacanestro, la meccanica, il ritmo, la mentalità, la routine di esecuzione, metodi di insegnamento, esercizi ed altro. Come modello nelle foto istruzionali troverete una vera e propria icona della pallacanestro italiana. L’uscita ufficiale è prevista per Febbraio 2016

_MG_6826-ModificaIniziamo con un giochino molto semplice: ha la possibilità di reclutare in una sua squadra ideale un solo tiratore e la società le mette a disposizione Ray Allen, Stephen Curry e Reggie Miller. Su chi ricadrebbe la sua scelta e perché.

Premesso che mi andrebbe bene uno qualsiasi dei tre, scelgo Curry per un motivo molto semplice: a mio parere ha dimostrato di saper creare tiri sia per sé stesso sia per gli altri, sa creare gioco e sa realizzare in ben più di una maniera. Per me una squadra va costruita intorno ai realizzatori, ovvero i creatori di gioco e non solo ai tiratori. Per assurdo: se avessi una squadra che ha già un Chris Paul, magari sceglierei Ray Allen o Reggie Miller perché più alti e molto abili senza palla, in uscita dai blocchi e altre parti del gioco. Ma se devo scegliere il primo giocatore attorno al quale costruire una squadra, dico Curry. Per quanto sia il più grande tiratore del mondo, non lo vedo solo come tiratore ma veramente come un giocatore completo.

Ha avuto modo e lavora tuttora con talenti straordinari ma probabilmente il numero 1 resta Kobe Bryant. Lei che lo conosce meglio di altri, come si è evoluta la sua meccanica di tiro nel tempo?

È pura leggenda che io abbia lavorato con Kobe Bryant. Non è vero. Gli ho fatto da rimbalzista, gli ho passato la palla ma non ho mai lavorato individualmente con lui, non gli ho mai insegnato niente (noi per fare da rimbalzista a Kobe pagheremmo e anche tanto, NdR). È uscito un articolo anni fa in cui non si diceva il vero. Quello che mi è rimasto impresso di lui quando abbiamo “lavorato” insieme sul campo era la stabilità di concentrazione e la capacità di ricreare tiri da partita. Non tira come tiro io, cioè con un ritmo non elevato (in riferimento ai video pubblicati su Facebook)… lui in ogni tiro ricrea nella sua mente la situazione da partita. Ha la sua routine e guai a chi gliela tocca. Sa come lavorare, e questo è già un grosso passo per un professionista. Sapere “come” lavorare e non solo andare in palestra e fare 100.000 tiri insignificanti. Sa quello che vuole fare e come farlo. La cosa che mi è rimasta impressa è questa: tiri dal post medio, dai 3-4 metri, partendo spalle a canestro, quindi già con un movimento di piedi specifico e quindi già con me come difensore molto vicino. Lo marcavo ma lui sapeva sempre aggiustare un po’ l’arco. A me sembrava sempre di essere vicino a toccargli la palla col braccio alzato ma lui riusciva ogni volta ad adattare il tiro contro la difesa. Una grande lezione di pallacanestro per me. Guai se non lo marcavo in modo realistico!

Restiamo in orbita Bryant. Nel gennaio del 2015, il Mamba affermò: “I giocatori europei sono tecnicamente migliori degli americani”. E’ giusto, secondo lei, quanto afferma Kobe? Questa maggior tecnica di cui parla Kobe, la riscontra anche in termini di meccanica di tiro?

Questa è una bella domanda. Non parlando di NBA per un attimo, se prendi il ragazzo medio che gioca a pallacanestro in America di 15 anni e il ragazzo medio che gioca in Italia della stessa età, non c’è questa grandissima differenza a livello tecnico secondo me. Se, però, misuriamo tecnicamente il giocatore medio americano NBA, quindi l’80% della Lega, con il giocatore medio NBA straniero, magari anche un talento inferiore, per me il giocatore medio NBA europeo è tecnicamente superiore a quello americano. Quello che dice Kobe è giusto ma riferito ai migliori europei, non al giocatore medio europeo in generale. Quelli che giocano in NBA o sono al top in Eurolega ci sta che tecnicamente, sia come tiro che come fondamentali generali, siano un gradino sopra ai giocatori medi NBA. Ma ripeto, il paragone è col giocatore NBA americano medio.

Ufficialmente Oscar Daniel Bezerra Schmidt, per tutti la Mao Santa.
Ufficialmente Oscar Daniel Bezerra Schmidt, per tutti la Mao Santa.

Lei ha sempre diviso la sua carriera a metà tra Europa e USA. Se dovesse individuare, in tanti anni di scouting, il miglior tiratore europeo, chi sceglierebbe?

Da quando ho iniziato a fare lo scout, probabilmente direi Stojakovic. Ero alle prime armi, ma rimasi sconvolto dalle sua abilitá. Anche Macijauskas e Josip Sesar mostravano capacitá incredibili. Se invece allarghiamo i confini, durante la mia adolescenza, durante la mia gioventù non ho mai visto qualcuno meglio di Oscar Schmidt, perché tirava da 3 come noi tiriamo in terzo tempo. Per lui era tutto così naturale sia a livello tecnico, sia a livello mentale, sia a livello emotivo. Non ho mai visto un tiratore del genere. L’unico giocatore che posso mettere nella categoria di Stephen Curry è proprio Oscar. Ho parlato con diversi giocatori che hanno giocato con lui in Italia e ho saputo che per lui finire l’allenamento facendo 10/10 da 3, da 7 posizioni, era un lavoretto da 10 minuti. Senza dubbio è il miglior tiratore che abbia mai visto, ma ne ho visti tanti altri di fenomeni, come ad esempio Dražen Dalipagić, altra straordinaria macchina da tiro. Devo ammettere, però, che quando giocavo in serie B incontrai tiratori micidiali che furono grande chiave di lettura per me: Achille Milani, Nane Grattoni, Donato Di Monte, Pippo Frascolla, Gabriele Casalvieri, Stefano Arvedi solo per menzionare alcuni che magari non avete mai nemmeno sentito nominare… ma vi assicuro che il canestro è della stessa dimensione in tutte le categorie!

Il nostro occhio di riguardo oltreoceano è sempre dedicato agli Italiani che cercano di fare il massimo con le rispettive squadre. Dal punto di visto stilistico, chi ha il tiro migliore? Marco Belinelli o Danilo Gallinari? Senza dimenticarci di Andrea Bargnani…

Tutti e tre sono grandissimi tiratori. Ma esclusivamente per il tiro, Bargnani ha forse il gesto più naturale di tutti gli Italiani. Una fluidità incredibile per un 2,15m. Gallinari è quello dotato di più mentalità offensiva forse, ma è anche quello più costruito a livello di tiro. Onore a lui che ci ha messo tanto impegno! Belinelli ha un gesto molto più facile e naturale rispetto al Gallo. Quindi non ho una risposta precisa perché comunque sono 3 tiratori diversi: uno è 2,15m, uno 2,08m, e l’altro è 1,96m, e perciò con componenti che influiscono sulla meccanica. Inoltre, tutti giocano in ruoli diversi, e ognuno è più abile in situazioni di gioco differenti. A livello puramente stilistico, magari dico Belinelli, però, come ho detto, tutti e 3 sono fenomenali tiratori. Un altro super tiratore italiano è Gigi Datome.

Una delle questioni più delicate che caratterizza una fetta non disprezzabile di giocatori NBA è quella dei tiri liberi, sempre più pesanti nei finali di gara. Alcuni giocatori non riescono a migliorare in nessun modo. Considerando che è un fondamentale “allenabile”, come si spiega la tendenza di alcuni giocatori a non dare la giusta importanza ad un aspetto comunque importante del gioco?

Stai affrontando un discorso che io affronto tutti i giorni. Il mio prossimo libro “Mastering the Art of Free Throw Shooting”, si concentra infatti solo sull’esecuzione del tiro libero. Per me è un argomento molto delicato e ci sono tante particolarità a riguardo; per esempio non tutti sanno che i liberi sono l’unica fase del gioco che non si è evoluta in più di 50 anni. È dai primi anni ‘60 che la media generale della NBA, dell’Eurolega, di tutti i campionati è rimasta uguale. Per i professionisti, la percentuale oscilla sul 74%-75% e su questo aspetto si basa la premessa del mio ultimo libro. Io vedo il tiro libero come la madre di tutti i tiri: il tiro meccanico per eccellenza, il tiro mentale per eccellenza e il tiro emotivo per eccellenza. Quindi c’è una forte componente non-tecnica. Sicuramente è il tiro più trascurato in allenamento, basti pensare che il 20%-25% dei punti totali di una partita vengono dalla lunetta, però nessuno dedica un quarto del suo allenamento ai tiri liberi. Io, invece, sono ossessionato dai tiri liberi tutti i giorni, non vado via dalla palestra se non faccio almeno 100 su 100 ai liberi. E non crediate che ci riescano in tanti al mondo! Ci posso mettere 10 minuti come posso metterci 2 ore, però tutti i giorni in cui mi alleno cerco di farlo. Sono convinto che se un giocatore riesce a padroneggiare il tiro libero, poi riesce meglio a livello tecnico-mentale-emotivo a trasferirlo anche ad altre parti del gioco. In fin dei conti se sai di essere un grande tiratore dalla lunetta, sarai molto più aggressivo nell’1vs1 perché sai di poter tranquillamente fare 2/2 ogni volta che ti guadagni un fallo a favore. A livello tecnico, per come la vedo io, il tiro piazzato da 3 e il tiro libero sono molto simili, ci sono meno variabili rispetto ad un tiro in movimento o dal palleggio.
Il fatto che il tiro libero sia diventato uno degli aspetti più trascurati del gioco e dell’allenamento quotidiano, è preoccupante e punto il dito sia agli allenatori che ai giocatori. Se una squadra perde di 1 punto con due tiri liberi sbagliati allo scadere, il motivo non sta per forza nei due errori, ma nell’approccio superficiale alla tecnica di tiro e della cura dei tiri liberi durante la settimana in allenamento. Allenatori hanno la scusa del poco tempo disponibile in palestra e la priorità ad altri aspetti del gioco di squadra…. Ma in qualche modo bisogna trovare il tempo, e che non siano 10 tiri per finire l’allenamento. A livello giovanile capisco le difficoltà con gli spazi palestra, ma a livello professionistico non ci sono scuse. Ci vogliono circa 10-12 minuti per effettuare 100 tiri liberi, quindi non trovate alibi! 

"La verità è che pochi allenatori, magari anche quelli di altissimo livello, sono competenti e hanno credibilità agli occhi dei giocatori per quanto riguarda il fondamentale del tiro"
“La verità è che pochi allenatori, magari anche quelli di altissimo livello, sono competenti e hanno credibilità agli occhi dei giocatori per quanto riguarda il fondamentale del tiro”

Partendo da un semplice paragone: perché lei che vive di questa “ossessione” lavora con costanza e magari un DeAndre Jordan, per prendere il primo esempio, non dedica tante ore di pratica viste le sue percentuali, anche alla luce del tipo di giocatore che è e del tipo di contratto che ha?

Quello che dici è giustissimo, me lo chiedo anche io da anni. Secondo me è una combinazione di etica di lavoro e di orgoglio personale. Se mi mettessero in imbarazzo tutte le partite, facendomi fallo appositamente perché sanno che sono negato ai liberi, per me diventerebbe umiliante e vorrei migliorarmi. È facile dire di voler migliorare ma è difficile poi non solo dedicarci il tempo necessario, ma pure trovare un programma progressivo di miglioramento efficace. La verità è che pochi allenatori, magari anche quelli di altissimo livello, sono competenti e hanno credibilità agli occhi dei giocatori per quanto riguarda il fondamentale del tiro. Anche un ex grande tiratore spesso, seppur avendo credibilità iniziale, non ha metodo di insegnamento e non si guadagna l’attenzione dei suoi studenti. Lo vedo spesso nella NBA, che vengono assunti ex giocatori che poi sono impreparati nell’insegnamento individuale.
Il tiro in generale rappresenta un argomento anche molto sensibile per i giocatori… e quindi molti coach hanno paura di approcciare un giocatore in difficoltà. Ma non è sempre detto che un giocatore che tira male i tiri liberi non si alleni o non ci provi. Ci sono molti giocatori che più sbagliano, più si allenano e più sbagliano ancora, peggiorando la situazione. Non si può sottovalutare l’aspetto mentale/emotivo che può saltare fuori in lunetta. Sensazioni di ansia, paura di sbagliare, pressione di vincere. Se chiedessimo a un grandissimo tiratore di liberi come Steve Nash “Cosa pensi quando tiri un tiro libero?” l’ultima cosa che ci sentiremo dire è “Cerco di fare canestro”. Questo tipo di pensiero fa scattare un meccanismo negativo che mette troppa pressione nella testa di un giocatore. È comune infatti vedere un giocatore fissare il ferro con sguardo intenso come volesse concentrarsi più che può… lo vediamo spesso con Howard e tanti altri giocatori. Il segreto per i tiri liberi è chiaramente una buona tecnica, un buon livello di concentrazione, ma soprattutto bisogna sviluppare ed affidarsi ad una routine che ti permetta sempre di entrare nella tua comfort zone, la tua zona di sicurezza, per poter rifare le stesse cose sempre allo stesso modo ed “aspettarsi” di fare canestro. Che siano quei due palleggi, quel respiro profondo, quelle due paroline rassicuranti che ripeti a te stesso, l’immagine della palla che entra… devi concentrarti sui “passi” della tua routine non sul “fare canestro” o al risultato della partita, o che se sbagli l’allenatore ti cambia. I grandi tiratori hanno già la meccanica buona, sono a loro agio, vedono sempre una immagine della palla che entra nella loro mente, ma soprattutto hanno una routine costante. Allo stesso tempo l’approccio mentale giusto e una routine efficace non ti possono permettere di fare canestro senza una meccanica di tiro decente! O si correggono i difetti tecnici prima o diventa difficile migliorare in lunetta. Non si può pretendere che un giocatore abbia la mentalità e la fiducia necessaria se non ha mai “assaggiato” un minimo di successo nel fare canestro. Per avere fiducia e credere in se stessi, prima bisogna saper cosa si prova a vedere la palla che entra sistematicamente. Lo ripeto: il tiro libero è il tiro più complicato della pallacanestro; avviene in una situazione non spontanea, a gioco fermo… dovrebbe essere facile, ma può diventare difficile… devi concentrarti, ma non troppo per evitare pressione eccessiva… la distanza non è esagerata ma puó apparire lontana… un tiro realizzato o sbagliato puó avere determinare il risultato finale di una partita…. TANTA ROBA!

Allarghiamo gli orizzonti ad un concetto di squadra. Il tiro da 3 punti trova sempre più spesso una maniacale applicazione, come nel caso degli ex Rockets di coach McHale. Cosa pensa dei sistemi di gioco che basano tutta la loro fase offensiva sul tiro dall’arco? Una scelta estrema o una soluzione che su medio-lungo periodo paga?

Se io giocassi, ti direi ben venga. Tiriamo solo da 3, per me va benissimo! Allo stesso tempo, però, non sono del tutto convinto che sia un gioco produttivo a lungo termine a meno che non si abbia il personale per farlo. Probabilmente è possibile creare un sistema efficace ma con un minimo di struttura e filosofia. Ma per vincere o per essere al top, non credo che sia realistico se non hai il personale giusto. Quelli che dicono che Golden State è una squadra che gioca in questo modo, si sbagliano di grosso per diversi motivi. Non si puó sottovalutare come muovono la palla, e che abbiano la migliore o una delle migliori difese della Lega, quindi squadra ben diversa dalla Phoenix di D’Antoni. Il fatto che i Warriors tirano molto da 3 va analizzato in un contesto più ampio: muovono bene la palla e hanno spaziature buonissime, non è un semplice chap e tira anche se alcune partite finiscono per essere troppo facili per loro. C’è di base un livello altissimo di talento, ma c’è anche tanta intelligenza cestistica e tanto altruismo nel sistema di Golden State. Quando Phoenix era al top della Western Conference con Mike D’Antoni, sì è vero tiravano molto da tre però c’era molta più organizzazione nel gioco di quanto poteva sembrare. Avevano ottimi tiratori piazzati, era un gioco più veloce e alla fine venivano fuori con un ragionamento quei tiri da 3 punti. C’era tanto movimento, e ci si allenava tutti giorni a ricreare queste situazioni in allenamento. Houston non ha né il livello di talento né il numero di tiratori, né la presenza di “ball movers” per potersi permettere lo stesso stile di gioco offensivo né di Golden State né della Phoenix di D’Antoni. Ci vuole il personale giusto per far funzionare qualsiasi sistema di gioco.

Anche i Knicks, ad esempio, che si dichiaravano riluttanti a questo sistema di gioco, ora si stanno convertendo. Come si spiega il cambio del peso specifico del tiro dalla lunga distanza?

Ti confesso che non ho visto ancora giocare i Knicks oltre gli highlights. Non so se si stanno adeguando loro o, avendo aggiunto un po’ di talento, di conseguenza hanno più opzioni offensive. Giocando il triangolo, ovvero un sistema di letture di gioco, cercheranno le soluzioni migliori per come si posiziona la difesa. Se c’è il tiro da 3, tireranno sempre da 3… Ci vuole tempo per adattarsi e imparare come sfruttare al meglio i principi del Triangolo… ma l’abilità di fare canestro da fuori rimane un aspetto che aiuta qualsiasi stile di gioco a prescindere.

"Frank mi ricorda un po’ Vlade Divac prima maniera, ma è molto molto più tiratore del serbo. Vlade era più agile e aveva piú playmaking, ma come tiro Frank è molto superiore"
“Frank mi ricorda un po’ Vlade Divac prima maniera, ma è molto molto più tiratore del serbo. Vlade era più agile e aveva piú playmaking, ma come tiro Frank è molto superiore”

Da Director of Global Scouting degli Charlotte Hornets una curiosità può sciogliercela solo lei. Siamo stati contagiati anche noi dalla Tank-mania e impazziamo per Frank “The Tank” Kaminsky. E’ uno dei migliori tiratori di questo draft?

Sicuramente. È un giocatore di 2,15m ma ha mani educatissime e tecnicamente è uno di quei giocatori che piacciono a me: sa passare, tirare e palleggiare, é una triplice minaccia a 2,15m. A me ricorda un po’ Vlade Divac prima maniera, nei suoi primi anni di NBA, ma è molto molto più tiratore del serbo. Vlade era più agile e aveva piú playmaking, ma come tiro Frank è molto superiore. È un giocatore con le mani buone, il tiro gli esce molto facile, molto naturale, ed ha raggio di tiro NBA. Ha un alto livello di talento e secondo me è ha un grande futuro e non parlo solo come tiratore. Certamente deve progredire dal punto di vista fisico ed atletico. In questo basket moderno un lungo che sa passare, palleggiare, e anche aprirti il campo fa comodo, cambia i giochi sia per la tua squadra che per gli avversari.

C’è chi trascura l’aspetto tecnico del tiro, preoccupandosi più del potenziamento fisico. Come si può invertire questo trend?

Entrambi aspetti sono importanti, ma a mio parere, la tecnica è e sempre sarà la componente più importante da curare per diventare giocatori di rilievo. Allo stesso tempo, una delle mie chiavi di lettura più significative sia nei miei studi di Scienze Motorie, sia nei miei miglioramenti personali, è stato proprio nel capire l’aspetto fisico nel tiro. Purtroppo ho capito che uno dei vari motivi della mia incostanza da giocatore era proprio per una questione fisica, ma all’epoca non ne ero ancora cosciente. Esiste infatti una forte componente fisica nel gesto del tiro, ma non è necessariamente quella associata con l’andare in palestra, fare pesi, squat, rinforzando braccia e gambe. La muscolatura più importante per il tiro è quello della fascia centrale del corpo, ovvero la zona del “core” – la zona addominale e lombare che protegge il centro di gravità, da dove iniziano tutti i movimenti del corpo – che stabilizza il trasferimento di forze dal movimento delle gambe a quello delle braccia. Tutto questo permette un tiro piú efficace e fluido in termini di ritmo, più controllo e maggior costanza, piú raggio di tiro, e anche meno impatto sulla schiena. Purtroppo l’ho imparato troppo tardi. Chi invece lo ha imparato da subito è Steph Curry, che seppur apparentemente gracile, ha un controllo del corpo e una capacità di generare forza e ritmo impressionante. Anche un tiro da 10 metri gli esce senza sforzi. Nash, Lillard, Irving sono altri buoni esempi. Al contrario un Blake Griffin o Dwight Howard, con stazze e muscolature assurde, non sanno coordinare e stabilizzare i loro movimenti, e sfruttare tutte le forze per produrre un tiro armonioso… infatti hanno un rilascio teso e un raggio di tiro stralimitato. Quindi, per il fondamentale del tiro, capire quali muscoli attivare e come sfruttarli al meglio, diventa più importante della vera e propria potenza muscolare.

Adam Filippi durante uno dei clinic sul tiro a Stoccolma.
Adam Filippi durante uno dei clinic sul tiro a Stoccolma.

I video delle sue sessioni di tiro sono straordinari, così come la sua dedizione, concentrazione e applicazione. Sono caratteristiche che stanno un po’ perdendo valore. Ma questa sua ossessione da cosa nasce?

Innanzitutto ti ringrazio. Purtroppo l’ultima cosa che la maggior parte della gente vede sono proprio la dedizione, la concentrazione, e l’applicazione di una buona tecnica. E per quanto sia assurdo, i giovani danno per scontato proprio questi aspetti che non si fermano solo alla pallacanestro. Infatti, spesso mi accade di dover rispondere alla domanda “come fai a fare sempre canestro?” e un po’ mi viene da ridere visto che chi lo chiede magari mi vede tutti i giorni li ad allenarmi. Cioè la possibilità che l’allenamento quotidiano possa portare miglioramenti non gli passa neppure per l’anticamera del cervello probabilmente. Io sono decisamente affetto da una “obsessive-compulsive disorder” in diverse cose: se faccio una cosa cerco di farla meglio che posso finché non mi rovino la giornata. Il motivo per il quale io sono così ossessionato dal tiro è, oltre al fatto che mi piace il gesto ed è la mia forma di auto-disciplina, anche perché come giocatore ho fallito e forse uno dei motivi era proprio la mia discontinuità al tiro. Da quando ho smesso di giocare, ho iniziato ad insegnare e in un certo qual senso ho re-insegnato a me stesso a tirare secondo criteri nuovi, più adatti alla mia struttura fisica. Posso considerarmi il risultato del mio stesso esperimento: infatti sperimento molto su me stesso, e sia se faccio canestro o se sbaglio, sto continuando a perfezionare il fondamentale del tiro. Cerco di capire il motivo dell’errore, provo tecniche nuove, approcci mentali differenti, tutto allo scopo di approfondire meglio tutta l’arte del tiro. Capire come e perché si sbaglia un tiro e soprattutto come fare una correzione istantanea per il tiro successivo. Se, ad esempio, vedo che il 70% dei miei errori è verso sinistra, capisco dove sta l’aggiustamento da fare. Non solo sto allenando me stesso e cerco di aumentare la mia credibilità come esperto del tiro, ma sto anche imparando qualche tecnica nuova di insegnamento da poi mettere in atto con un giocatore che alleno.

Statisticamente parlando, il miglior tiratore del gioco è Stephen Curry. Il rilascio in 0.4 secondi, l’angolo di rilascio e una parabola di circa 55° il tutto a poco più di 1,90m di altezza. Mentre Marco Belinelli, ad esempio, varia la sua meccanica a seconda se è un tiro piazzato o un tiro dal palleggio, Curry no, rimane costante nell’esecuzione. Che tipo di differenza c’è tra questi due tipi di tiratori e come si può, se si può, fermare Steph Curry?

Parlando di Curry e Belinelli stai parlando di due giocatori con una certa naturalezza e un certo livello di talento. Non ne troviamo tanti come loro. Con questo, non voglio sottovalutare la loro etica di lavoro e le ore che hanno speso in palestra a perfezionare le loro tecniche… sarebbe una mancanza di rispetto verso i loro sacrifici. Ma la loro naturalezza li aiuta sicuramente ad aggiustare il tiro a seconda della situazione e della difesa. Curry è UNICO perché non c’è mai stato un giocatore al quale venga così facile fare queste cose, per una questione di coordinazione occhio-mani e per tanti altri motivi tecnici e mentali. Non so se sia giusto analizzare in modo scientifico Curry con i gradi della parabola o altri aspetti, perché lui sa fare veramente canestro in ogni modo e pure a “suo modo”, spesso rompendo qualche regola tradizionale. Ha una tecnica apparentemente elementare (nel senso che mantiene una tecnica quasi da bambino, molto bassa ma straefficace e rapida), ha dimostrato che sa adattare il tiro, che sia un finger roll in entrata, che sia un arcobaleno, che sia un tiro dagli spogliatoi prima della partita, che sia un tiro di sinistro, lo aggiusta sempre. È uno di quei giocatori al quale se gli chiedessi “Come fai a fare questo?” lui non te lo saprebbe neanche spiegare. Per me Steph è diventato talmente automatico, talmente naturale ed istintivo, che non si sofferma mai su nessuna componente. Questa è la mia impressione e per questo motivo è uno difficile da analizzare secondo le regole base del tiro. Belinelli è un po’ più umano, con meccanica più tradizionale per un giocatore di 1,96m e si vede che ha lavorato tanto per migliorare certi aspetti specifici. La sua tecnica rimane sempre uguale, tolto il fatto che dalla lunga distanza si affida ad un tiro piú coi piedi vicini al terreno (meno sforzo) e in arresto e tiro dalla media distanza usa una vera e propria sospensione.
Sia Steph sia Beli hanno sviluppato un “tocco” incredibile, aspetto che va oltre la vera e propria tecnica di base. Nel caso di Curry è spaventoso il suo feeling con la palla e col ferro. Come si sviluppa questo? A livello personale, ti dico che a forza di tirare, ripetendo all’infinito lo stesso movimento (corretto) alla fine ci sono dei giorni in cui non mi sembra neanche di tirare impegnandomi e la palla entra lo stesso. Sviluppi un certo automatismo, istinto e senso di “tocco” che sia se tiri bene o male, fuori equilibrio o più in controllo, alla fine riesci ad aggiustare il rilascio e riesci a far canestro lo stesso seppur magari ignorando qualche componente fondamentale. Per questo che vediamo tiratori con grande sicurezza mentale e un certo automatismo tecnico, sviluppare abitudini un po’ “da fenomeno” come buttarsi indietro, su un lato, lasciar cadere il braccio appena rilasciata la palla, etc…. ma per arrivare a certi livelli, questi giocatori si sono allenati talmente tanto che hanno sviluppato un tocco veramente speciale. Quindi, solo attraverso tante ripetizioni di tiro, allenando e imparando il movimento corretto, ti potrai permettere certi “lussi” nell’esecuzione del tiro.
Mi chiedi come si ferma Steph Curry (32ppg)? Se non ci sono riusciti 29 head coaches della NBA, vuoi che lo sappia io? (Ride, ndr.)

Anthony Davis quest’estate ha lavorato tanto sul suo attacco, ampliando il suo raggio d’azione oltre l’arco dei 7,25m. Se dovesse col tempo affinare ancor di più la tecnica di tiro, può essere considerato il giocatore NBA più completo?

Chiaramente stiamo parlando di un altro talento straordinario. Con l’aggiunta del tiro da 3p, non so se sarebbe il giocatore più completo della Lega, ma sicuramente darebbe una dimensione nuova al suo gioco. Diventerebbe agli occhi miei, e parlo magari da avversario, un incrocio tra Kevin Garnett e Kevin Durant, e a quel punto credo diventi veramente un incubo per tutti. In NBA è stato fatto un sondaggio: si chiedeva chi era il giocatore con il quale iniziare a costruire la tua franchigia e non mi meraviglia il fatto che la maggior parte dei dirigenti ha puntato su Anthony Davis, e non Lebron o Curry. È un giocatore che ha dei mezzi materiali, tecnici, fisici, atletici unici e già sa fare tantissime cose. Ma se riesce ad affinare ancor di più la tecnica offensiva in generale e in più riesce ad aumentare il raggio di tiro diventa veramente irrimescolabile, perché il tiro volente o nolente cambia il gioco, sia per te stesso che per la tua squadra.  

E’ stata una chiacchierata lunga ma intensa, dove Adam si è dimostrato, qualora ce ne fosse stato bisogno, una persona che va ben oltre la normale la competenza della tecnica di gioco. E’ sempre difficile trovare persone che amano il Gioco come lui, che ci mettono tutto per migliorare ogni singolo giorno. Oltre alla competenza, però, vogliamo ringraziare Adam per la sua cordialità, disponibilità e cortesia. Un lavoratore instancabile e un finissimo conoscitore del gioco che tutti amiamo. Alla prossima, Adam!

 

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Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone