L'EDITORIALE - La sorpresa si chiama Detroit: Drummond, Jackson e la difesa per sopperire a una panchina corta
Meglio di Chicago e Miami. Meglio dei Clippers, di OKC, Houston e Memphis, se si trovassero dall’altro lato. Non sono belli, non lo sono mai stati, specialmente quando hanno vinto. Non sarà questo il momento storico in cui torneranno ai fasti di 10 anni fa, è chiaro. Ma, intanto, questi Detroit Pistons stanno letteralmente sovvertendo ogni pronostico. Pur apparendo inizialmente indeboliti rispetto allo scorso anno, pur avendo un allenatore che non hai ricevuto troppi consensi nell’ambiente. Pur avendo problemi di infortuni. Pur avendo perso Monroe e rinnovato Jackson a cifre che sembravano inopportune.
Basterebbe ritornare un attimo alla passata stagione, per capire perché nessuno avrebbe puntato un quarto di dollaro sui Pistons. Il regalo di Natale che Houston trova sotto l’albero è Josh Smith e con la partenza di J-Smoove, Detroit sembra rinata. Un quintetto, di fatto, che vedeva Smith adattato come ala piccola, con Monroe e Drummond nel pitturato, risultava incompatibile. A fine novembre, infatti, i Pistons navigavano con un record di 3-15. Con la partenza di Smith, i Pistons non solo si riprendono ma pare che vedano la luce alla fine del tunnel: gennaio viene archiviato con un solido 10-7 che ad est poteva significare playoff a lungo andare. Poi, proprio a fine gennaio, arriva l’infortunio di Jennings, che si era caricato la squadra sulle spalle con prestazioni incredibili. Con il play ai box, come lo è tuttora, Detroit fa 15-22 per chiudere con un insufficiente 32-50.
Nella free agency, partono Monroe e Ilyasova. Tanking sfrenato e riconferma di Drummond sembrano le chiavi di lettura per questa stagione, considerando che Jennings non tornerà prima di dicembre. Ma nessuno, nemmeno con le aspettative più rosee, poteva fare i conti con questa esplosione di Drummond. A 22 anni, precisiamo. Un potenziale indiscusso, già l’anno scorso aveva chiuso con una doppia doppia di media di tutto rispetto: 13.8 punti, 13.5 rimbalzi. L’unico problema, unico vero neo ed ostacolo ad una posizione dominante in questa lega, sono le mani poco delicate. In uno sport dove il lungo dalle mani buone, e che quindi può prendere un tiro fuori dal pitturato in isolamento o in pick&pop, diventa un’arma tattica devastante (basti pensare a Griffin, Davis, i Gasol, Cousins, Love, Duncan, Garnett), Drummond però si impone in entrambe le metà campo. Buon protettore del ferro, il meglio lo dà nelle letture a rimbalzo, dove inizialmente stupiva, adesso domina.
Nelle prime sei partite, parliamo di un record di 5-1; dietro questi successi, c’è la mano proprio del buon Andre, che viaggia a 20.3 punti di media e altrettanti rimbalzi. Sì, altrettanti, 20.3. Nelle prime sei apparizioni di una stagione, solo Abdul-Jabbar e Chamberlain erano riusciti a far registrare una doppia doppia 20-20 in almeno tre occasioni. Inoltre, tira con un ottimo 54,9% dal campo, prendendo 15 tiri a partita. Il tutto si traduce con Detroit che è prima per rimbalzi catturati ed è la quinta difesa della Lega.
Intendiamoci, non è solo merito di Drummond. I Pistons stanno cominciando a riscuotere i primi dividendi anche da Reggie Jackson, per l’intesa che ha con il suo lungo e per la sua vena realizzativa che caratterizza tutte le point-guard di questa generazione. Jackson, infatti, in tre partite su sei è stato il top-scorer di squadra e viaggia a 23.2 di media. Stanotte ci sarà il test più importante, per il momento, contro Golden State nella bolgia della Oracle Arena. Ben figurare stasera sarà un’iniezione di fiducia fondamentale per una squadra che la sta ritrovando. Ci sarà da capire se, in questo senso, Detroit troverà finalmente un contributo significativo dalla panchina, cosa che manca in maniera troppo evidente per poter garantire determinati ritmi nel corso di una stagione. Ma, nel frattempo, gustiamoci questi Pistons: brutti ma vincenti.