Ricostruzione vincente

I Boston Celtics del 2008 sono un ricordo lontano, disseminato ormai in ogni angolo della lega. C’è chi ha preferito la capitale e poi Malibu, chi non ha mai legato con i cowboy e ha preferito la California del nord, c’è chi, dopo un paio di corse, ha sentito la necessità di tornare dove per il cuore è “casa” e c’è chi, dopo l’ultima pennellata vincente, ha deciso di uscire di scena, in silenzio, passando in maniera repentina dal rumore della retina a quello dei fornelli. Della straordinaria versione delle Finals 2008 rimangono solo le linee incrociate di un parquet storico, riuscendone a ritagliarne un paio per dedicarle al miglior nemico che la franchigia abbia avuto insieme a Magic. Si riparte dopo le tante battaglie, dopo i tanti successi, la gloria, gli anelli come se si fosse usciti da una delle guerre più sanguinose: acciacchi, ferite, addii. L’ultima volata di quelli che vengono considerati i Big4 dei Celtics si conclude quasi in maniera stanca contro i Magic che sfideranno i Lakers nelle finali per il titolo. Qualcuno ha bisogno di fermarsi, perchè la benzina sta per terminare. La benzina delle motivazioni, quelle che hanno sempre trovato chi ha avuto l’onore di indossare quella canotta. Il processo di rebuilding lo si avverte già nella serie contro i nuovi Miami Heat di LeBron James, quando si vocifera sull’abdicazione di Rivers una volta conclusa quella stagione, della voglia di cambiare aria anche per chi ha dato tutto per quella maglia, anche per chi ha rappresentato la verità per migliaia e migliaia di tifosi.

L’idea di rebuilding è per molti associabile a qualcosa di disastroso, ad un processo lungo e lento in cui si entra in un tunnel dove per anni mancherà la luce. La tendenza e gli esempi generali sarebbero indirizzati in questa direzione ma non sempre la mela cade lontana dall’albero e non sempre i luoghi comuni, i pensieri generali si realizzano seguendo un percorso standard. Certo, se prendiamo come esempio i 76ers o gli stessi Lakers, indimenticabili nemici dei Celtics nella maggior parte delle finali giocate, rientriamo nella nostra prima definizione. Se, invece, spostiamo la nostra attenzione non sul perchè, non sul come e nemmeno sul quando si riuscirà a portare a termine una ricostruzione, allora inquadriamo meglio il caso da noi intrapreso. Dall’altra parte dell’oceano le chiamano culture matters e una specifica traduzione italiana non c’è o almeno non rende giustizia alla profondità, al senso del concetto. Potremmo definirle barbaramente questioni culturali ma arriveremo ad una spiegazione più dettagliata piano piano. Il gruppo proprietario della franchigia, ovvero sia il Boston Basketball Partners, un gruppo di investimento nato per sostenere i colori bianco-verdi, ha tra le persone chiavi Wyc Grousbeck, Steve Pagliuca, Robert Epstein, Matt Levin, David Bonderman, Jim Breyer, quel James Pallotta così vicino a noi italiani per questioni calcistiche, Glenn Hutchins e Paul Edgerley. Dopo 9 lunghi anni di gestione Paul Gaston, il gruppo acquista il pacchetto di maggioranza nel 2003, anno dopo la sua fondazione. Dopo 10 anni ad altissimo livello, si sente il bisogno di riformare, di ripartire con un nuovo gruppo di persone, di giocatori, di addetti ai lavori. In poco più di 4 mesi, cambia ogni cosa nell’aspetto gestionale della franchigia, o quasi. Si decide di ripartire da un unico punto fermo: Danny Ainge. Draftato dagli stessi Celtics nel 1981 con la 31esima scelta, dal 2003 entra a far parte dell’organigramma della famiglia Celtics con un ruolo che migliorerà di anno in anno, così come la sua conoscenza da dirigente. Nel 2008 l’intera lega gli riconosce di essere il miglior executive ma il suo percorso a Boston non si esaurisce nel tempo. Quando tutti non volevano vedere Garnett, Pierce, Allen e infine Rondo con una maglia diversa, Ainge conosceva già il piano B? Probabilmente no ma far parte di una franchigia gloriosa ti porta sempre a trovare motivazioni nuove per ripartire. Si decide di ripartire da un semi-sconosciuto, tale Bradley Kent Stevens, autore della favola di Butler University. Un gioco innovativo, un’idea di organizzazione che fa innamorare Ainge. Un “novellino” con 0 esperienza NBA sulla panchina dei Celtics? Assurdo, eppure è così. “Il lavoro di Stevens richiede tempo“, ricorda spesso l’executive di Boston “ma i risultati saranno ottimi“. Accanto ad una matricola in panchina, Ainge decide di affiancare Ron Adams, veterano se ne esiste uno (chiedete a Curry, nel caso). 25-57 con gli unici Green e Rondo che infiammano il TD Garden. La luce si inizia a spegnere e dopo anni di post season, nel 2014 si va in vacanza prima del previsto. Si imbocca un tunnel, però, dove l’uscita si intravede all’inizio della stagione 2014-15: via anche Rondo, tra l’incredulità e la fiducia nel sistema. Le ultime lacrime prima della nuova luce.

Ph: celticsblog.com
Ph: celticsblog.com

Nel caso dei Celtics, la mela è caduta decisamente vicino alle radici dell’albero piantato da Ainge e coltivato con passione, pazienza (merce rara dov’è non vi é cultura sportiva), sacrificio ma soprattutto intelligenza e orgoglio, quello che in casa Celtics non manca mai. Siamo scesi più volte in disquisizioni meramente tecniche nelle nostre lavagne tattiche e abbiamo altrettante volte ripetuto quanto la filosofia di gioco del mago da Butler si sposi perfettamente con i ragazzi scelti dal GM e portati a Boston con la speranza di riformare qualcosa di importante. Le stelle? Una, anzi forse mezza, considerando l’altezza o forse due considerando il coraggio dell’ennesimo talento che la piazza di Seattle (più precisamente Tacoma) ha dato vita. Tutti “sottomessi”, nella miglior accezione del termine, ad un funzionalismo strutturale e tattico che sta dando i frutti sperati. Tempi bui? Pochi. Tunnel lungo? Solo una centinaia di metri, nulla di drammatico e catastrofico come alcuni (non bostoniani come formazione) immaginavano. Crowder scaricato dai Mavericks, Olynyk e Sullinger considerati grandi talenti ma poco adatti alla Lega dal punto di visto fisico e a tratti mentali, Zeller come rincalzo di qualsiasi altro giocatore, Turner finito con le ginocchia che si ritrova, Bradley uno specialista difensivo che raccoglie poco nell’altra metà campo, Scola e Valanciunas preferiti ad una roccia come Amir Johnson, Smart un vero e proprio pazzo scatenato che crea più scompiglio che gioco. Queste le reputazioni più o meno diffuse del roster attuale dei Celtics, eccezion fatta per quel folletto proveniente dai Kings e catapultato in una realtà che sembra fatta apposta per lui. Potrebbe essere proprio Isaiah Thomas il simbolo della rinascita di questa franchigia, eppure il ruolo di uomo franchigia preferisce lasciarlo ad altri, a differenza di quello di leader carismatico in campo che detiene con gran fierezza. Non conta il record, non conta dove ci si ferma e quanto in fondo si riesce ad arrivare , non contano le stelle, non vanno presi in considerazioni gli eventuali ostacoli che fanno parte del Gioco. Quello che i Celtics hanno fatto negli ultimi 3 anni andrebbe spiegato in ogni ambito, dall’organizzazione di un’azienda alla fase più tecnica, con uno staff che in poco tempo ha saputo impiantare un sistema equilibrato, senza sfociare in punti troppo estremi. Negli ultimi 10 anni, nonostante la re building, sono 8 le apparizioni ai playoff, segno di una continuità straordinariamente ritrovata. Ainge, poi, completa l’opera a metà febbraio quando riesce ad ottenere 11 scelte in uno dei draft più ricchi dell’ultimo quinquennio. Squadra consolidata, arrivo di una super star nella FA estiva, qualche pescata buona al draft (sulla scorta dell’azzardo riuscito che risponde al nome di Marcus Smart) e si é pronti per tornare a vincere? Non é così semplice ma sarebbe la degna conclusione che, comunque vada, possiamo già definire vincente.

About The Author

Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone