I San Antonio Spurs ed il lato nero-argento della forza, perché pensare al titolo non è pura utopia...

“Chi vincerà il titolo Nba?” 

Sarà sicuramente questa la domanda più diffusa fra gli addetti ai lavori dopo la pausa dell’All Star Game che ci proietterà diretti verso l’ultima appassionante e coinvolgente parte di regular season, sarà Cleveland per il back to back o Golden State che quest’anno può davvero perderlo solo lei? Eppure tra una tripla di Curry e un volo a canestro di King James passando per le sorprese Houston, Celtics e Raptors c’è sempre e comunque un’altra candidata fissa al titolo, da molti data per finita ma che fondamentalmente finita non lo sarà mai, perché a prescindere dagli interpreti che scenderanno in campo con quella maglia nero-argento se ti chiami San Antonio Spurs e sei allenata da Gregg Popovich sei a prescindere da titolo perché avrai a prescindere qualcosa di meraviglioso da dare a questa lega. 

Avrete sentito molte volte la già citata storiella delle ali del calabrone, tanto piccole rispetto al resto del corpo da impedirgli fisicamente di volare, eppure è sempre bello credere alla favola secondo cui l’insetto ignori la propria struttura fisica e voli lo stesso. Verrebbe da pensare che proprio come il calabrone i San Antonio Spurs non abbiano le caratteristiche fisiche per competere per il titolo, che i San Antonio Spurs non lo sanno e per il titolo ci competono lo stesso; ma poiché quella del calabrone è una storia inventata è ancor più bello pensare che altrettanto inventata sia la similitudine con i San Antonio Spurs, perché i texani più passano gli anni più sembrano esser sempre e costantemente consapevoli della loro grandezza con tutti i lati positivi e negativi che il sistema di gioco di Pop rappresenta e continuerà a rappresentare.

Eppure la stagione degli Spurs non cominciava sotto i migliori auspici, la sconfitta per 4-2 al secondo turno playoff contro i Thunder di Westbrook e Durant e l’addio di Tim Duncan avevano gettato nello sconforto i fan della franchigia texana, se a ciò si aggiungeva poi la mancanza di una prima scelta al draft (non accadeva dal 1997) i presupposti per un rinnovamento del roster e di un nuovo ciclo vincente sembravano ancora lontani. Qui è entrata in gioco la bravura di coach Popovich e della dirigenza Spurs che dopo l’addio di Duncan è stata perfetta a piazzare i giusti colpi adatti a riempire quelle lacune che gli Spurs avevano dimostrato di avere negli anni passati ma che allo stesso tempo non hanno stravolto roster e soprattutto spogliatoio. A ciò si accompagna un processo di rinnovamento incentrato su validissimi giovani che quest’anno stanno facendo più bene di quanto ci si aspettava, basti pensare ai vari Jonathan Simmons, Davis Bertans o Dejounte Murry che tra qualche anno con un pizzico di esperienza in più potranno sicuramente dire la loro in maniera più significativa, senza ovviamente dimenticare la vecchia guardia composta da Parker, Ginobili, Aldridge, Gasol e dall’insieme di giocatori che fanno parte della famiglia Spurs ormai da diversi anni, garanzia assoluta sia da un lato che dall’altro del campo.

Il vero dubbio forse più grande di tutti dopo il ritiro di Duncan era però per lo più di carattere ambientale in casa Spurs, visto che il nativo delle Isole Vergini era l’uomo chiave ed il leader degli speroni in campo e fuori dal campo, e l’età che ormai avanza anche per Ginobili e Parker non permettevano a quest’ultimi di poter essere messi al centro del nuovo progetto di San Antonio che per forza di cose deve essere un progetto a lungo termine. Da tempo però la soluzione gli Spurs ce l’avevano in casa e proprio come un moderno vaso di Pandora aspettavano solo di liberarla per capire se avessero fatto o meno la scelta giusta: questa soluzione per gli Spurs ha le treccine, il numero 2 dietro la maglia e proprio come Tim Duncan preferisce alle parole i fatti sul campo giocando in maniera totale per la squadra senza per forza dover salire alla ribalta per l’ennesima tripla doppia in più. Questa soluzione si chiama Kawhi Leonard ed è il miglior sostituto di Duncan che gli Spurs potessero scegliere perché proprio come Duncan da vero leader antepone in ogni partita il bene della squadra al suo senza pensare troppo a ciò che farà ma allo stesso tempo dimostrando un’intelligenza cestistica ben al di sopra della media della lega. Gli oltre 24 punti di media a partita di Leonard parlano per lui ma non dicono abbastanza di quanto perfettamente il nativo di Riverside si inserisca nelle dinamiche offensive e soprattutto difensive degli Spurs, e soprattutto di quanto sia trattato con rispetto da giocatori che nonostante abbiano vinto più partite, premi, titoli, si lascino trascinare dal suo tanto “silenzioso”quanto “assordante” talento.

Il record di 38-11 ottenuto finora dagli Spurs ed il secondo posto ad Ovest non possono essere ridotti però solamente agli interpreti visto che in Nba di squadre con campioni tra le proprie fila ce ne sono veramente parecchie, la vera e forse unica caratteristica del sistema Spurs è dettata dalla sensazione (che diventa poi certezza)  che veramente esso sia un meccanismo che prescinda dai nomi che vi sono scritti dietro le maglie,  meccanismo in cui l’organizzazione e la collaborazione fanno da padroni ed in cui tutti sanno davvero cosa fare ed in che momento farlo. Poi ovviamente con giocatori come Parker o lo stesso Leonard capaci di aprire e chiudere le difese con una sola penetrazione o di Green e Mills pronti a colpire dall’arco o ancora di Aldridge e Gasol a tenere lezione di gioco spalle a canestro sotto le plance tutto assume i contorni del semplice quando in realtà semplice non lo è mai stato in vent’anni di dinastia Popovich. Per questi motivi ipotizzare dei San Antonio Spurs campioni a fine anno non significherebbe per forza di cose dire una sciocchezza, sicuramente siamo in una fase di transizione del roster e del progetto Spurs che significa necessariamente che questa squadra ha ancora enormi margini di miglioramento dettati dal fatto che stanno andando lentamente modificandosi quelli che erano i pilastri e le fondamenta di un ciclo vincente oramai quasi finito, l’abilità di Pop e dei suoi giocatori sarà sicuramente mantenere intatte quelle che sono le certezze del sistema Spurs per inserirle poi anche in un contesto Nba in cui cambiano ritmi, ruoli, giocatori di riferimento, meccanismi offensivi e difensivi, ma in cui non cambia quella che è la cultura Spurs.

 

Chi allora maggiormente favorito tra Golden State e Cleveland? Occhio ai nero argento ed alla soluzione con il 2 sulle spalle…

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Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone