STATS CORNER - Houston, we have a problem: le controversie in casa Rockets

Tutto, in casa Rockets, è riassumibile con dei numeri, delle percentuali o dei grafici statistici. Questo dall’ormai lontano 2007, ovvero da quando, alla leggenda bianco-rossa Carroll Dawson (27 anni di front office in Texas), è succeduto Daryl Morey. (Tenete aperta la finestra perché torneremo sull’argomento in seguito). Ma quest’anno, i numeri (se pur eloquenti) non bastano a spiegare la semi-catastrofe in atto. Il record conta il giusto, essendo inizio dicembre ed essendoci ancora più di 60 partite da giocare, ma tutto quello che sta prendendo piede dentro e fuori dal campo, in termini di rapporto giocatori-giocatori e giocatori-staff, è più che destabilizzante.

Il licenziamento di McHale ha tutta l’aria di essere una decisione basata più sull’ansia di risultati e di ottenere una scossa nell’immediato, più che una scelta ponderata. E non c’è modo peggiore di provare a sistemare le cose che prendendo decisioni non basate su riflessioni razionali ma solo d’impulso. Perchè ora, Houston, si ritrova nella stessa situazione di prima, senza gioco né difesa, con rapporti sempre più tesi nello spogliatoio e priva di un head coach “di ruolo”. In pratica, allo sbaraglio.

Quanto centra Morey in tutto questo? Abbastanza. Quanto centra McHale? Poco/niente. Quanto centra Harden? Tutto.

L’ormai ex-coach ha amministrato come ha potuto un gruppo di eccezionale talento offensivo, poca attitudine difensiva e martoriato da infortuni. Ha raggiunto una finale di conference solo lo scorso anno, battendo dei buonissimi Clippers, per poi arrendersi ad i futuri campioni NBA. E’ riuscito a trovare un discreto sistema di gioco che si reggesse sulla completa inattitude difensiva di Harden e la sua (a tratti) onnipotenza offensiva. Tutto purchè un gioco da ragazzi. Quest’anno però ha perso completamente il timone della squadra e questo gli è costato la panchina.

Qualcuno potrebbe aggiungere “giustamente”, noi ci limitiamo a denotare il fatto che, in questa maniera, i Rockets hanno di fatto alzato il primo metro di terra e sono pronti a finire di scavarsi la fossa. Questa analisi negativa della scelta di Morey non ha minimamente a che vedere con la figura o la competenza di McHale, ma, appunto, sulla totale assenza di programmazione e razionalità nel distruggere e ricostruire (si parla già di una trade per liberarsi di Ty Lawson, arrivato solo all’inizio della stagione, ndr) una squadra con già diversi problemi (fisici e caratteriali) al suo interno. E Harden? La stella da Arizona State ci ha messo tutto quello che poteva per complicare la situazione.

Dopo le severissime (ma altrettanto giuste) critiche ricevute nel 2014, l’anno scorso il Barba si è impegnato per sopperire alle sue mancanze difensive e, tutto sommato, ha retto il confronto anche nella sua metà campo. Questo ha aiutato i Rockets ad avere una delle migliori difese dello scorso anno, aspetto che li ha condotti molto avanti nei playoffs. Quest’anno i problemi sono tornati, il livello di attenzione difensiva di Harden è, a tratti, imbarazzante.

Un semplice esempio dei mille a disposizione.

Spesso lo si nota vagare per la propria metà campo senza un’obbiettivo preciso se non quello di aver la palla in mano nell’azione seguente.

https://youtu.be/X2SXpHMbFOk

Ok… questo è abbastanza.

Da tre giocatori bianco-rossi. che hanno preferito restare anonimi, sono uscite dichiarazioni molto negative sul gioco della stella nativa di LA: la difesa non è proprio di suo interesse, mentre catalizza completamente l’attacco, rendendolo statico e prevedibile. Per giunta tirando con meno del 30% da 3 (career-low) e del 48% da due (vicini al minimo in carriera) e prendendo in consegna circa il 40% dell’attacco di Houston tra tiri, assist, palle perse e azioni che si sviluppano da lui. (Howard ha una media di meno di 5 possessi offensivi a partita). Ora, se la stella della tua squadra, nonchè uno dei migliori realizzatori della lega, tira con queste percentuali avendo in mano quasi la metà dei tuoi possessi offensivi, si fa presto il ragionamento sulla pessima partenza in RS.

Ritornando sul discorso “semi-catastrofe”, i segnali forti dal campo arrivano anche da quella che sembra essere insofferenza da parte di molti giocatori, spesso nei rapporti coi compagni proprio sul parquet: volano “vaffa” e sguardi perplessi, non quello che serve per vincere le partite. Ma come dicevamo, a Houston i numeri non piacciono, si amano. Proviamo a capire il perchè ed entriamo un po’ nello specifico. Dall’arrivo di Morey, Houston non ha mai chiuso la RS sotto lo .500, centrando per sei volte i playoffs e raggiungendo una finale di conference (maggio scorso). Morey, artefice della trade che ha portato James Harden ai Rockets, non è il vostro classico GM d’oltreoceano, non si “limita” al lavoro d’ufficio fatto di programmazione, trade e relazioni con i media, no, Daryl Morey è molto di più, è un cultore dei numeri, delle statistiche. Analizza tutto l’analizzabile tramite calcoli e formule matematiche per capire cosa si nasconda, secondo il suo credo, dietro quelle percentuali e statistiche che tanto ama.

Il suo orientamento culturale è detto “Moneyball”, dal nome del famoso best-seller (in seguito anche pellicola) di Michael Lewis, che ha influenzato il modo di pensare le statistiche di molti addetti ai lavori. Ecco, Morey ne ha fatto un “credo” sportivo nella sua personale parrocchia nel Texas. Ma “chi di numeri ferisce di numeri perisce”, o non suonava così?

spacecityscoop.com
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Quindi la squadra che ha il secondo miglior realizzatore del campionato (29,8 PPG per Harden) che viaggia anche a 7APG di media (statistica, in questo caso, farlocca se ce n’è una) ed ha il decimo miglior attacco, numeri alla mano della lega, si ritrova:

21° in APG, 26° in % dal campo, 28° in punti concessi agli avversari e 29° (!) in %3PT. Tutto questo condito da un 109,51 di Difensive Rating. Numeri spietati più che mai. Ma non finisce qua, i Rockets sono anche 28° in punti concessi in transizione e da secondo possesso (ovviamente questo comporta un pessime statistiche anche a rimbalzo, ndr).

Anche statistiche alla mano, dunque, c’è qualcosa che non va. Ha ragione il Barba quando afferma che “sono tutte situazioni che possiamo correggere”, ma lo spassionato consiglio di un fan è quello di ricominciare proprio dalle basi, da un sistema che non può più accettare 4 sponde per un terminale offensivo, che per giunta gioca ad una sola metà campo. “Offense wins games, defense wins championship”, recita la rivisitazione di una famosa citazione di coach Bear Bryant. L’attacco vince le partite, la difesa i campionati. Ed in casa Houston non mi pare si stia parlando di vincere UNA partita, dunque…

N.B. i dati riferiti alla stagione corrente sono aggiornati al 3 dicembre.

About The Author

Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone