STORIE DELL'ALTRO BASKET speciale The Underdog - 'Cause 54 is cool!

“Il sistema è cambiato molto da prima del 2000 ad oggi. In passato il gioco era molto più fisico: oggi ci si può muovere per il campo senza mai essere toccati, oggi Michael Jordan ne farebbe 45 ogni sera.”

Parole che possono sembrare casuali ed espressione di un luogo comune ben noto, ma se sono pronunciate da uno dei migliori terzi violini della storia del basket a stelle e striscie, All-Star nel 1994, 4 volte consecutive nel secondo miglior quintetto difensivo (e nei ’90 di lunghi difensivi ce ne stavano due o tre a naso!), All-America nel 1987, c’è da tendere l’orecchio e tener conto di questo punto di vista. Già perché al d ilà della propria opinione sulla differenza di fisicità tra la pallacanestro odierna e quella che fu, di Horace Grant ci si può sempre fidare, poiché è assodato che egli sia uno che di pallacanestro ne sa a pacchi!

Horace Grant rientra nella categoria dei terzi violini non a caso. Se si dà uno sguardo generale sulla sua carriera, infatti, si può notare come abbia avuto al proprio fianco sempre coppie che hanno fatto la storia di questo sport. Qualche esempio? Prendiamo, che so, Michael Jordan & Scottie Pippen, Penny Hardaway & Shaquille O’Neal (versione Orlando Magic), ancora Shaq (versione Los Angeles Lakers) & Kobe Bryant: come ambienti di gioco siamo a livello 5 stelle extralusso. Aggiungiamoci una stagione ai Seattle Supersonics con “the glove” Gary Payton e otteniamo una carriera di tutto rispetto, senza ombra di dubbio.

Eppure se gli chiedete se ai tempi di Hancok Central High School si sarebbe mai immaginato un percorso cestistico di questo genere, vi risponde molto semplicemente:”amico, ti avrei detto di tornare sul pianeta da cui eri venuto!”, nonostante il fatto che papà Harvey e mamma Grandy Mae abbiano messo al mondo, oltre a lui, anche un altro giocatore NBA: il gemello Harvey Jr. In ogni caso, se si ha un idea di come sia la vita nella sua città natale, Sparta (sì, esatto, come la famosa città ellenica), Georgia, non rimane difficile comprendere che andarsene di lì sia piuttosto complicato, figuratevi giocare nella NBA! La storia di questo meraviglioso sport, però, ci insegna che spesso contesti di esistenza in cui si lotta ogni giorno per sopravvivere hanno sempre forgiato giocatori tosti e di alto livello, che il sacrificio sanno davvero cos’è: Horace è uno di questi.

Nel 1987 viene scelto dai Bulls con la decima chiamata al primo giro, dopo 4 anni scintillanti a Clemson University, in cui nel suo ultimo anno fu nominato giocatore dell’anno nella ACC e divenne il primo giocatore nella storia, sempre della ACC, a chiudere la stagione in cima alla classifica della media punti (21.0, tirando con il 70.8%, altro primato) e a quella della media rimbalzi (9.6) ad allacciata di scarpe. Certo, nello stesso draft, prima di lui, viene chiamata gente del calibro dell’ammiraglio David Robinson, Scottie Pippen, Kevin Johnson, ma il GM Jerry Krause è convinto di aver affiancato finalmente a Jordan due che lo possono aiutare a vincere: mai scelta fu più azzeccata, la storia parla da se’. Krause nella carriera di Grant è stato decisivo non solo per averlo scelto, ma anche per un altro motivo molto particolare: “E’ grazie a lui se ho iniziato a giocare con gli occhiali e se ho potuto giocare così a lungo” ha affermato Horace, “fu lui che mi consigliò di farmi visitare, dopo che aveva notato che quando dovevo leggere qualcosa avvicinavo il foglio fin sotto il naso”. Dopo due stagioni di rodaggio e assestamenti i Bulls della coppia Pippen-Jordan, più Horace, vincono il titolo nel 1990, poi un altro nel 1991, poi un altro ancora nel 1992, chiudendo del primo Three-peat di Chicago negli anni ’90. Horace diventa titolare fisso negli anni dei tre titoli e risulta decisivo sotto le plance grazie al suo contributo in entrambe le metà campo, arrivando a sfiorare la doppia-doppia di media nella stagione 91-92.

Il meglio della carriera di Grant, però lo vediamo nella stagione 1993-94, nella quale viaggia a 15.1 punti e 10.2 rimbalzi di media tirando con il 53% dal campo, che gli garantiscono la presenza all’All Star Game di Minneapolis. Il fatto che la miglior stagione di Horace Grant sia coincisa con il primo ritiro di Michael Jordan ha fatto sempre pensare che la presenza del #23 lo abbia in qualche modo condizionato in negativo, ma Grant ha sempre smentito tutto ciò:”Michael Jordan è il miglior giocatore di tutti i tempi perché oltre a dare spettacolo ti migliorava, ti rendeva la partita più facile, ti faceva sentire più fiducioso in campo”. Al suo ritorno nei suoi Bulls, Jordan si ritrova nel quintetto base, nello spot di ala grande…Dennis Rodman! Già perché nell’estate del ’94 Horace è stato inserito in una trade che ha portato The Worm ai Bulls e spedito lui agli Orlando Magic.

Passare, dopo 7 stagioni ai Bulls, ai Magic era un bel cambiamento, ma c’è sicuramente di peggio. Anche qui Grant è relegato a ruolo di affiancatore di una grande coppia: Penny Hardaway e Shaquille O’Neal, che in quegli anni finiscono 9 volte su 10 negli highlights settimanali. Horace però è sempre stato uno con le spalle larghe, ed anche ad Orlando dimostra di essere un giocatore utilissimo: gioca 7 stagioni anche qui, nelle quali segna 11.2 punti, prende 8.1 rimbalzi e smazza 2.1 assist di media ogni partita. Anche Shaq, che sia ad Orlando che ai Lakers lo affiancherà nella coppia lunghi titolari, sente l’apporto che Grant dà alla squadra:”L’arrivo di Horace fu un aggiunta molto preziosa, finalmente avevo al mio fianco e non contro di me un lungo che potesse insegnarmi quei trucchetti che un giocatore con un passato come il suo conosceva alla perfezione, è stato molto utile per la mia crescita come giocatore”. Quei Magic però non avranno affatto lo stesso cammino in post season dei Bulls: Penny e Shaq fanno fuoco e fiamme, ma la squadra sembra divisa tra loro due e il resto del gruppo, con Horace che finisce per fare da collante, evitando che lo spogliatoio “esploda”. “Sono stati due i motivi per cui non vincemmo quegli anni: l’ego di Shaq e l’ego di Penny, fu quello che ci condannò a non arrivare mai infondo”.

Dopo una stagione ai Seattle Supersonics senza grandi numeri, la carriera di Horace Grant sembra avviata sul viale del tramonto, ma in realtà non è affatto così. L’arrvio di Phil Jackson ai Lakers fa tornare speranza nei tifosi gialloviola, che sperano di tornare ai fasti degli anni ’80, ai tempi dello showtime. Jackson nell’estate del 2000 fa due delle previsioni che lo hanno reso una leggenda di questo sport: pensa che si debbia affiancare a Kobe Bryant una superstar che possa stare in campo con lui e dividere il peso dell’attacco, ed è convinto che i Lakers progettati in un certo modo possano eseguire la famosa triangle offense che ha fatto le fortune dei Bulls nel decennio precedente. Per la superstar si va da Shaquille O’Neal (previsione azzeccata in linea di massima), ora però c’è bisogno di qualcuno che la triangolo la conosca bene, e Phil va a ripescare ancora Horace Grant, sapendo che sarà lui l’uomo giusto. I Lakers che ne verranno fuori vinceranno il titolo l’anno dopo perdendo solamente una partita di playoff, gara1 di quelle Finals in cui Allen Iverson entrò definitivamente nella leggenda.

L’anello di campione NBA 2000-01 sarà l’ultimo per Grant, che da quella stagione in poi sarà perseguitato da infortuni e affaticamenti, dettati da 15 stagioni ad altissimo livello in cui Horace non si è mai risparmiato. Affiancato sempre da grandi stelle, ha fatto sentire la sua presenza in campo e fuori sempre agendo in punta di piedi, senza mai una parola fuori posto e con un atteggiamento da lavoratore vero. Mi sono sempre posto (e come me in molti) una domanda su di lui: come mai nelle sue 17 stagioni di attività ha sempre indossato la canotta #54? ” ‘Cause 54 is cool, i like it!”. Semplicemente, ma mai banalmente, Horace Grant.

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Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone