Top&Flop Golden State - Portland: Green e Thompson dominanti, Plumlee con il freno a mano tirato
La volontà è tutto. Ma non contro i Golden State Warriors versione 2015/2016. Una macchina da basket praticamente perfetta che è riuscita a sopperire anche all’assenza di Curry (il quale, però, nelle due partite post rientro ha fatto tutta la differenza del mondo) in una serie contro i Blazers ben più dura di quanto il 4-1 finale lascerebbe supporre. Alla truppa di Terry Stotts restano i complimenti di avversari e addetti ai lavori e la sensazione che di più proprio non si potesse fare. Che si accompagna a quella del trovarsi di fronte a un progetto di crescita appena agli inizi, con delle basi ben più solide di quanto fosse lecito aspettarsi ad inizio stagione.
TOP
Draymond Green: quando si dice che è lui l’uomo chiave dei meccanismi di Steve Kerr non si va tanto lontano dalla verità. Dominatore totale nell’arco della serie su entrambi i lati del campo: 22.2 punti, 11.2 rimbalzi, 7.4 assist, 1.4 recuperi, 3.2 stoppate di media in cinque partite. Non sembra esserci, al momento, una contromisura credibile in grado di limitarne l’apporto mostruoso alla causa gialloblù.
Klay Thompson: inizia quel che Curry finisce. E si prende i meritati complimenti di allenatore e compagni di squadra per cinque tra le sue migliori partite in carriera nei PO: 31 punti di media (33 nella decisiva gara 5), tirando con il 49.5% dal campo e il 50 da tre. Un dato incredibile, soprattutto in relazione al numero di tiri presi (22.2 a sera) e alla qualità degli stessi. Sembra essersi definitivamente affrancato dall’ingombrante ombra del ‘gemello’. Ed è un bene, per lui e per la squadra.
FLOP
Mason Plumlee: i migliormenti a livelli di Q.I. cestistico e di scelte nei momenti chiave della partita sono evidenti e innegabili. Tuttavia, con un Bogut in difficoltà e con la difesa dei Warriors impegnata a togliere spazio e tiri al backcourt Blazers, era lecito aspettarsi qualcosa di più dal numero 24: 5.8 punti di media, con il 34.3% al tiro sono un pò poco per un lungo a certi livelli. Soprattutto se la sua squadra aveva bisogno di qualcosa di diverso per provare a sorprendere i campioni in carica.
Andrew Bogut: essere il centro nella squadra che sfrutta meno di tutti il gioco dal post tra le favorite è una vitaccia. E, del resto, dall’australiano non sarebbe giusto aspettarsi qualcosa in più rispetto a ciò che fa normalmente. L’impressione, però, è che stavolta abbia faticato più del solito, a prescindere dalle statistiche generali che non costituiscono comunque il miglior parametro possibile per giudicarlo. E siccome piove sul bagnato, ecco arrivare in gara 5 l’infortunio e i relativi tempi di recupero incerti.